Quando arte e tecnologia si fondono fino a diventare una sola esperienza immersiva, la musica diventa qualcosa che non si ascolta soltanto, ma che si vive, si esplora, si interagisce. È in questo spirito che nasce Secret Mountain, la band di avatar digitali ideata da A. R. Rahman che, in collaborazione con Google Cloud, si propone di ridefinire il concetto stesso di performance musicale nel mondo “post-umano”.

Secret Mountain non è un esperimento isolato né una trovata pubblicitaria. È una visione: un gruppo musicale “metaumano”, animato da avatar sintetici capaci di cantare, muoversi, esprimersi, conversare — un ensemble virtuale che tenta di abbattere la barriera tra lo spettatore e la scena, facendo sì che il pubblico non sia più solo ascoltatore, ma parte viva di un racconto multimediale.

Quel che rende speciale questa iniziativa è la sinergia stretta con Google Cloud, che mette a disposizione modelli di intelligenza artificiale, infrastrutture scalabili e tecnologie di ultima generazione per trasformare l’idea artistica in un’esperienza concreta. Si parla di sistemi come Veo 3, utilizzato per incarnare l’avatar e generare video realistici; Imagen e Gemini Flash 2.5 Image (Nano Banana), per la generazione di immagini ad alta qualità; e Gemini 2.5 Pro, che agirà come “cervello conversazionale” degli avatar, permettendo loro di rispondere, conversare ed interagire in tempo reale con i fan.

Il profilo degli avatar di Secret Mountain è ricco di carattere e diversità: non sono entità generiche, bensì personaggi con storie, stili musicali e culture distinti. Tra questi troviamo Cara, una singer-songwriter irlandese; Zen Tam, rapper Tamil; e Blessing, percussionista e voce africana. La scelta di questa varietà non è casuale: Rahman mira a intrecciare sonorità, linguaggi, influenze culturali diverse, in un racconto globale che supera confini geografici.

Dietro ogni avatar c’è un team—non solo algoritmi e reti neurali, ma produttori musicali, cantanti reali, coreografi, attori, mentori—che plasmano la personalità, l’estetica e l’identità artistica. In altre parole, non è solo automazione: è ibridazione fra creatività umana e capacità computazionali.

La promessa è audace: che gli avatar possano interagire con il pubblico durante concerti digitali, eventi live, piattaforme social o ambienti immersivi, rispondendo ai commenti, alle richieste, alimentando un dialogo che va oltre il semplice “share” o il like. L’obiettivo è far vivere la musica come comunità interattiva, in cui ogni spettatore ha un ruolo, ogni avatar ha un volto e ogni performance è un’esperienza in divenire.

Naturalmente, dietro l’idea c’è una serie di sfide tecniche e concettuali. Per ottenere reazioni convincente, gli avatar devono esibire espressività credibile, movimenti coerenti, sincronizzazione sonora perfetta. La latenza deve essere ridottissima: quando un fan scrive o chiede qualcosa, la risposta dell’avatar non può sembrare ritardata o “meccanica”. Occorre una pipeline AI ottimizzata, che integri riconoscimento del linguaggio, generazione testuale, sintesi vocale, animazione facciale e corporea — tutto in tempo reale.

Un’altra questione delicata è l’equilibrio fra personalizzazione e coerenza artistica. Se l’avatar risponde “in ogni modo”, c’è il rischio che perda identità; se invece è troppo rigido, l’esperienza diventa fredda e distante. Inoltre, il training dei modelli conversazionali richiede dataset specifici: bisogna insegnare agli avatar non solo “cosa rispondere”, ma come, con tono, sequenza narrativa, carattere individuale.

Un tema che non può essere ignorato è quello della governance, sicurezza e scalabilità. Le piattaforme che sostengono Secret Mountain dovranno garantire che le interazioni restino rispettose, che i dati non siano abusati, che il sistema possa reggere migliaia o milioni di interazioni simultanee. Google Cloud, fornendo infrastruttura e modelli, assume un ruolo chiave anche su questi fronti.

Nel discorso più ampio, Secret Mountain rappresenta una delle direzioni possibili per l’evoluzione dell’intrattenimento digitale: non più spettatori passivi, ma partecipanti attivi in universi narrativi e musicali. Potrebbe inaugurare un’era in cui gli artisti estendono la loro presenza al di là del palco fisico, abitano avatar che vivono in spazi digitali, dialogano e si trasformano.

Di Fantasy