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Nella continua evoluzione delle tecnologie basate sull’intelligenza artificiale, il modo in cui le persone cercano e scoprono informazioni sta subendo una trasformazione profonda. Le piattaforme di ricerca alimentate da AI generativa—come ChatGPT di OpenAI, Gemini di Google e Perplexity AI—non si limitano più a classificare i risultati in base a parole chiave o backlink, ma generano risposte sintetiche e contestualizzate, modificando radicalmente i criteri di visibilità per i brand. Questo cambiamento impone un ripensamento dell’approccio tradizionale alle relazioni pubbliche, che non può più basarsi esclusivamente su comunicati stampa ottimizzati per SEO o titoli clickbait. Occorre, invece, un’evoluzione verso contenuti strutturati, autorevoli e progettati per essere facilmente interpretabili dalle AI. L’articolo che segue esplora come le pubbliche relazioni debbano adattarsi a questi nuovi modelli di ricerca: dal passaggio dall’ottimizzazione delle parole chiave alla pertinenza contestuale, all’importanza crescente del thought leadership, al ruolo mutato dei media guadagnati (earned media), fino alle nuove metriche da tenere d’occhio in un contesto in cui “l’inclusione” nel flusso generativo diventa il vero indicatore di successo.

Il passaggio dall’ottimizzazione delle parole chiave alla rilevanza contestuale

Per anni, chi si occupa di PR e marketing ha fatto affidamento su strategie di search engine optimization (SEO) basate su parole chiave, metadati e link building. Tali tecniche—pur continuando a offrire un valore, soprattutto nelle ricerche tradizionali—non bastano più nell’era generativa, perché le AI non leggono pagine per “posizionarle” in un elenco: le leggono per comprenderne il significato e sintetizzarlo in risposte coerenti con le domande dell’utente. Invece di concentrarsi esclusivamente sulle parole digitate dagli utenti, i professionisti delle PR devono ragionare sulle query in termini di contesto e intenti. Un comunicato stampa, un articolo di approfondimento o una biografia aziendale devono essere strutturati e redatti in modo tale da fornire informazioni chiare, coerenti e prive di ambiguità. In pratica, è necessario:

  • Favorire frasi semplici e dirette, ponendo l’accento su dati, citazioni e storie rilevanti fin dal titolo e dal primo paragrafo.
  • Integrare markup semantici (come schema.org) e metadati avanzati, così da “insegnare” alle AI dove si trovano gli elementi chiave e quale sia la gerarchia dei contenuti.
  • Scrivere in ottica di Q&A: identificare le domande più frequenti che un utente potrebbe porre a un assistente AI e rispondere in maniera esaustiva all’interno dei testi, garantendo che le risposte possano emergere nelle conversazioni generate.

Se un brand ignora questa prospettiva e si limita a replicare vecchie strategie SEO, rischia di restare escluso dalle posizioni di rilievo nei risultati generativi, con conseguente perdita di visibilità e autorevolezza in un contesto in cui, già entro il 2026, Gartner stima un calo del 25% nel traffico di ricerca tradizionale a causa dell’affermarsi dei chatbot AI.

L’evoluzione del Thought Leadership

Gli algoritmi delle AI generative attingono a fonti autorevoli per costruire le loro risposte: non basta produrre contenuti generici o ripetitivi, ma è fondamentale posizionare gli executive e gli esperti aziendali come fonti di prima mano. In questo senso, il “thought leadership” assume un ruolo cruciale, perché:

  1. Offre spunti originali e approfondimenti unici, aumentando le probabilità che le AI citino direttamente i contributi di esperti riconosciuti.
  2. Crea fiducia e legittimità: un articolo di opinione dettagliato, un’intervista o un white paper redatto da un dirigente definito come “esperto del settore” risultano più credibili non solo per il pubblico umano, ma anche per i motori di AI, che li includono nelle loro basi di conoscenza.
  3. Favorisce la costruzione di un “profilo AI” dell’autore: pubblicare regolarmente contenuti di qualità su piattaforme di riferimento (come Unite.AI) aiuta a tracciare una sorta di percorso “digitale” che le AI possono riconoscere e associare all’autore, consolidando la sua posizione all’interno delle fonti prevalenti.

In pratica, le PR devono diventare dei veri e propri editor della conoscenza aziendale, coordinando la produzione di interviste, articoli di settore e contributi in blog specializzati, affinché ogni contenuto risponda a quesiti specifici e sia redatto in un linguaggio che le AI possano facilmente assimilare. L’obiettivo è trasformare gli executive non tanto in “testimonial pubblicitari”, ma in protagonisti di un discorso tecnico-culturale che si rifletta nei risultati generativi.

Il ruolo (mutato) dei media

Il concetto di earned media rimane valido, ma cambia radicalmente la sua funzione strategica. Un tempo, comparire su un quotidiano di riferimento o in un magazine di settore significava godere di un impatto immediato su traffico, notorietà e opportunità commerciali. Oggi, gli articoli pubblicati su testate autorevoli moltissime volte fungono da “dati di addestramento” per le AI che generano risposte. Questo significa:

  • Massimizzare l’accuratezza delle citazioni: gli estratti di interviste o i dati quantitativi forniti a una testata di elevato authority (come MIT Technology Review, The Verge o Wired) verranno usati dagli algoritmi per fondare risposte puntuali, conferendo maggiore visibilità al brand.
  • Redigere dichiarazioni concise e incisive (ad esempio, uno “soundbite” con statistiche aggiornate o insight esclusivi) che possano emergere anche in una breve estrapolazione all’interno di una risposta generativa.
  • Scegliere canali con un alto tasso di riconoscimento da parte delle AI: non basta più puntare sui giornali locali o sui blog di nicchia; è decisivo ottenere copertura su fonti che le AI considerino autorevoli e che alimentino costantemente i loro modelli di formazione.

In questo senso, la “durata di vita” di un articolo viene ridefinita: un contenuto ben posizionato su un mezzo autorevole può restare rilevante per molto tempo, poiché continuerà a influenzare le risposte AI, superando i limiti temporali di una semplice campagna di stampa tradizionale.

Come strutturare i contenuti per la massima leggibilità da parte delle AI

Per “leggibilità” non si intende soltanto la facile comprensione da parte del lettore umano, ma soprattutto la capacità di una AI di interpretare correttamente gerarchie, relazioni logiche e dettagli essenziali. Alcune linee guida operative sono:

  1. Usare titoli descrittivi e sotto-titoli chiari: ogni sezione deve presentarsi come un’unità autonoma che risponde a una domanda specifica.
  2. Evitare linguaggio troppo tecnico o gergale se non spiegato contestualmente: le AI possono riconoscere il contesto, ma necessitano comunque di espliciti riferimenti semantici.
  3. Ricorrere a elenchi puntati o numerati per evidenziare processi, passaggi o classificazioni, così da semplificare la lettura strutturata dei contenuti.
  4. Implementare schema.org e altri formati di dati strutturati: fornendo markup specifici (ad esempio Article, Person, Organization, FAQPage), si agevola la comprensione automatica delle relazioni tra autore, ente e contenuto.

Un comunicato stampa ben architettato per la “leggibilità AI” presenta dunque un’introduzione sintetica che chiarisce chi, cosa, dove, quando e perché, seguita da sottoparagrafi tematici, citazioni con attributi semantici (es. <blockquote cite=”…”>) e metadati completi (titolo, autore, data di pubblicazione, parole chiave). In questo modo, quando un modello generativo cerca di “decidere” quali informazioni estrarre, sarà in grado di identificare rapidamente le fonti più rilevanti.

La necessità di nuove metriche di misurazione

Con l’avvento delle AI generative, le metriche tradizionali—impression, click-through rate, copertura social—diventano incompletes indicatori. La vera domanda non è più “Quante persone hanno visto il nostro articolo?”, ma “Quanto la nostra presenza è percepita e utilizzata dalle AI?”. I KPI da considerare includono:

  • AI Visibility Score: un indice che misura quante volte un brand o i suoi rappresentanti vengono citati nei risultati generativi popolari (ad esempio, quante volte un articolo o una dichiarazione appaiono in ChatGPT, Gemini o Perplexity).
  • Citation Share nelle Risposte AI: la quota percentuale di contenuti proprietari (testi, studi, infografiche) che vengono effettivamente richiamati nelle risposte generate dai modelli.
  • Volume di Domande Generative: identificare quante e quali query generano risposte integrate con i contenuti del brand (ad esempio, se un utente cerca “strategie PR per AI search”, valutare l’incidenza di fonti aziendali nelle risposte offerte).

Diversi strumenti e piattaforme di analytics stanno già emergendo per monitorare questo nuovo tipo di visibilità: i brand più lungimiranti stanno sperimentando soluzioni per tracciare la frequenza e il contesto in cui i loro contenuti vengono assorbiti dalle AI, al fine di calibrare le strategie editoriali e di comunicazione.

Collaborazione tra team multidisciplinari: il fattore “Enablement AI”

Per adattarsi efficacemente a questa rivoluzione generativa, le pubbliche relazioni non possono lavorare in isolamento: servono sinergie strette tra marketing, comunicazione, reparto tecnologico e data analytics. Alcuni punti salienti:

  • Definire linee guida condivise su tono, stile e priorità: il team di content creation, il reparto IT (per implementare correttamente i markup) e i data analyst (per misurare l’impatto AI) devono collaborare fin dalle prime fasi di ideazione.
  • Formare i portavoce aziendali all’uso dei linguaggi “AI-friendly”: i dirigenti e gli esperti devono acquisire consapevolezza delle dinamiche generative, sapendo quali termini usare o evitare per massimizzare la probabilità di essere citati.
  • Integrare strumenti di monitoring e automazione: piattaforme che analizzano in tempo reale quali parole chiave generative stanno emergendo (sulle frontiere di ChatGPT, Gemini, ecc.) possono orientare i contenuti futuri, così come l’automazione di alert quando un brand viene menzionato nelle risposte AI.

Questa collaborazione tra figure professionali diverse non è soltanto “auspicabile”, ma indispensabile per evitare che i contenuti restino ancorati a strategie superate. Solo un approccio olistico—dove il reparto comunicazione comprenda le capacità e i limiti delle AI e il team tecnologico adotti gli standard più avanzati per la strutturazione dei dati—permetterà di mantenere un brand rilevante e competitivo nel lungo periodo.

Conclusioni

Stiamo vivendo un momento di svolta: l’integrazione delle intelligenze artificiali generative nella vita quotidiana degli utenti ha ridefinito la nozione stessa di “visibilità”. I tradizionali indicatori di performance vengono messi in discussione da un paradigma dove i contenuti emergono non più per mero posizionamento in un elenco, ma per la loro capacità di rispondere in modo concreto e pertinente alle domande degli utenti. In questo contesto:

  • La rigida distinzione tra “contenuto orientato all’utente” e “contenuto per i motori di ricerca” non ha più senso: ora bisogna pensare contemporaneamente all’intelligenza umana e a quella artificiale.
  • La fiducia e la reputazione del brand si costruiscono nell’“ecosistema AI”: non basta apparire, bisogna che le AI riconoscano il valore e la qualità di ciò che si pubblica.
  • La flessibilità e la sperimentazione diventano fattori competitivi: solo aggiornando costantemente linee editoriali, formati e metriche sarà possibile stare al passo con un settore che evolve giorno dopo giorno.

Infine, il successo in questa nuova era di PR dipenderà dalla capacità di combinare creatività e rigore analitico: i professionisti delle relazioni pubbliche più efficaci saranno quelli che sapranno tradurre i principi del racconto e dell’engagement in linguaggio “AI-legibile”, garantendo che ogni messaggio venga non solo letto, ma anche “assorbito” e valorizzato dalle intelligenze artificiali generative.

Di Fantasy