Immagine AI

C’è un fenomeno silenzioso, appena affiorato sulle pagine dei laboratori e degli uffici che adottano l’intelligenza artificiale — un fenomeno che sta causando irritazione, perdita di tempo e frustrazione nelle aziende: “workslop”. Il termine è nuovo, suggestivo, ma già vuol dire molto: si riferisce a output generati dall’IA che, pur appaiono lucidi, completi e ben formattati, non apportano valore reale al lavoro — a volte lo ostacolano.

Il workslop è definito come un “rifiuto elegante”: documenti in apparenza curati, presentazioni che sembrano impeccabili, sintesi ben disposte, grafici puliti, titoli e paragrafi che scorrono come dovrebbero. Il problema è che, al loro interno, manca qualcosa di essenziale — può mancare contestualizzazione, può mancare coerenza o può esserci omissione di parti cruciali. In sostanza, sono operazioni che non avanzano il progetto, ma che generano solo il peso di dover essere “smontate” e corrette.

Immagina uno scenario familiare: chiedi all’IA di produrre un report sull’andamento di mercato, ottieni un documento ben impaginato, con titoli, grafici e conclusioni plausibili. Eppure, quando lo leggi, scopri che alcune affermazioni non sono fondate, che certi dati non hanno riferimenti, che le connessionenze logiche si perdono, che aspetti fondamentali non sono nemmeno menzionati. Quel documento ha richiesto a qualcun altro (o a te) tempo per essere corretto, riscritto, integrato. Ecco: quello è workslop.

Secondo lo studio citato, il fenomeno è già abbastanza diffuso per essere misurato: un sondaggio condotto tra 1.150 dipendenti statunitensi ha rivelato che il 40% ha sperimentato almeno un caso di workslop nell’ultimo mese. Molti stimano che oltre il 15% del materiale lavorativo che circola nelle organizzazioni possa essere in realtà pura “spazzatura IA”.

C’è un dato che impressiona particolarmente: ogni istanza di workslop richiede, in media, quasi due ore (1 ora e 56 minuti) per essere corretta o “smaltita”. Se pensi a una grande azienda con migliaia di persone, con flussi quotidiani di documentazione, correzione, revisione, il costo economico e di attenzione può diventare enorme: secondo la stima nell’articolo, una società con 10.000 dipendenti potrebbe perdere, per questo fenomeno, più di 9 milioni di dollari all’anno in produttività sprecata.

Ma il problema del workslop non è soltanto nel tempo sprecato: è un danno culturale, relazionale, organizzativo. Quando chi riceve un documento IA incompleto o mal concepito si sente ingannato o deluso, la fiducia cade. Nell’indagine, circa la metà dei partecipanti ha affermato di aver valutato più negativamente chi aveva generato quel lavoro. Circa il 42% ha riferito di aver dubitato dell’affidabilità del mittente, e quasi il 32% non desiderava più collaborare con quella persona. In altre parole, il workslop non è solo un peso operativo: logora relazioni e intacca il capitale sociale interno dell’azienda.

A partire da questa realtà, gli autori dello studio suggeriscono che il contrasto al workslop non possa essere lasciato al caso o alla buona volontà degli operatori: serve un cambio di paradigma. L’uso dell’IA non può essere indiscriminato, né può trasformarsi in una latitanza di responsabilità — non basta dire “l’IA faccia tutto”. Le aziende dovrebbero definire linee guida chiare, dare formazione su come interpretare e revisionare i materiali prodotti da modelli generativi, e promuovere un atteggiamento “da pilota” più che “da passeggero” nell’adozione delle tecnologie.

Di Fantasy