L’avvento del digitale si è rivelato un’arma a doppio taglio per gli scrittori, collocandosi nel delicato equilibrio tra novità e tradizione. La controversia si è acuita di recente con le rivelazioni sull’utilizzo non autorizzato di migliaia di testi per l’addestramento dell’intelligenza artificiale di Meta. Se da un lato si sono scatenate dispute legali e dibattiti accesi, dall’altro sono emerse riflessioni profonde sulla proprietà intellettuale e l’impatto dell’AI sulla società.
In questo contesto, Ian Bogost ha offerto un’interpretazione insolita e stimolante nel suo articolo per The Atlantic, suggerendo che la creazione di contenuti, indipendentemente dalla loro forma, può godere di una forma di parità democratica, pur in un mondo che tende a valorizzare di più i testi pubblicati rispetto a semplici recensioni o post online.
La discussione corrente mette in luce il rapporto complesso tra autori, tecnologie emergenti e l’evoluzione del concetto di autorialità nell’era digitale. L’articolo incoraggia a vedere l’AI non come un sostituto degli scrittori, ma come uno strumento per aiutare chiunque a esprimere i propri pensieri, ampliando così il dialogo pubblico.
Nel corso della storia, essere un autore è stato spesso un privilegio di pochi fortunati, e fino a tempi relativamente recenti, possedere libri era un lusso. Oggi, malgrado più persone abbiano la capacità di scrivere e condividere conoscenze di valore, essere riconosciuti come autori resta un privilegio, non solo di abilità e conoscenza, ma anche di tempo. E anche per chi dispone di queste risorse, pubblicare può essere arduo, con probabilità di successo tra l’1% e il 2%.
Per chi non ha tempo o capacità di scrivere, l’AI promette di essere una valida alternativa. Non mira a sostituire gli autori, ma a facilitare la condivisione del sapere di coloro che faticano a esprimerlo per iscritto. L’AI può aiutare a colmare la lacuna per gli esperti che altrimenti dovrebbero ricorrere a un ghostwriter, un’opzione spesso troppo costosa.
I tradizionali ostacoli all’autorialità vengono meno con l’AI, che democratizza il processo di scrittura, rendendolo accessibile a un pubblico più vasto.
L’AI dovrebbe essere percepita come un co-creatore silenzioso che facilita l’espressione delle idee, rendendo la scrittura più inclusiva, in particolare per persone neurodiverse, che hanno intuizioni uniche ma che possono incontrare difficoltà nell’organizzare i propri pensieri.
Grazie all’AI, queste persone possono contribuire alla diversità letteraria, abbattendo le barriere e arricchendo il panorama narrativo con nuove voci.
Ian Bogost invita a riflettere sulla paternità nell’era tecnologica, dove l’AI assume un ruolo chiave nella creazione di contenuti. Se scrivere significa condividere conoscenza e idee, l’AI dovrebbe promuovere tale scopo, rendendo la scrittura accessibile a tutti.
La democratizzazione della scrittura tramite AI non mina la narrazione, ma sostiene il suo obiettivo fondamentale: rendere la condivisione di conoscenze e idee possibile per tutti. L’ascesa dell’AI dovrebbe essere vista come un mezzo per migliorare l’accesso alla conoscenza e favorire un’ampia inclusione di voci nella costante evoluzione della scrittura. Con il progredire dell’AI, un numero crescente di persone di diversa estrazione può condividere le proprie intuizioni col mondo.
La democratizzazione della scrittura attraverso l’AI assicura che il mondo delle idee rimanga aperto a tutti, indipendentemente dal background, dalle abilità o dalle risorse di ogni persona.