Nell’era dell’intelligenza artificiale generativa, qualcosa di radicale sta accadendo nel mondo degli sviluppatori: la sensazione di intimità e controllo sul proprio codice sta svanendo. Il titolo “Developers Never Owned Their Code, AI Just Made That Obvious” (Gli sviluppatori non hanno mai posseduto il loro codice, l’IA l’ha semplicemente reso palese) pubblicato il 20 agosto 2025 su Analytics India Magazine da Ankush Das, cattura perfettamente questa tensione emergente.

Attila Vago, ingegnere di Prezi, riflette in un post su Medium che, in realtà, gli sviluppatori non sono mai stati i veri proprietari del codice che scrivevano. “In realtà, abbiamo sempre prodotto ‘abandonware’, software di cui ci siamo dimenticati appena terminato il lavoro — ci è servita l’IA per rendere questa realtà chiaramente visibile a chi non se ne era ancora accorto”. È un concetto che suona forte: il codice, anziché essere un’estensione creativa di chi lo scrive, è spesso un materiale transitorio, rapidamente obsoleto o abbandonato.

Perfino i test A/B, strumenti fondamentali per l’ottimizzazione e il fine-tuning del software, secondo Vago restano spesso come “dead code” — codice che non serve veramente. E allora il codice, di fatto, appartiene a nessuno in particolare — né al singolo sviluppatore, né al progetto, ma forse solo al flusso stesso dello sviluppo.

L’introduzione massiccia dell’IA non ha forse inventato questa disgregazione di senso di possesso, ma l’ha resa inequivocabilmente tangibile. Le generative AI producono porzioni di codice che vengono integrate, modificate o riviste in un flusso continuo, spesso senza una chiara attribuzione. Il risultato? Una dissoluzione del confine tra chi ha scritto il codice e chi lo ha semplicemente orchestrato o adattato. Questo ha messo in luce quanto sia fluido e condiviso il concetto di “proprietà del codice” nel moderno sviluppo software.

Questa visione solleva questioni profonde: chi è davvero responsabile del codice che finisce in produzione? L’articolo esplicita che, quanto a responsabilità e accountability, non è il singolo sviluppatore, ma l’intero team di sviluppo a essere chiamato in causa. In un mondo dominato da AI e strumenti generativi, il concetto di responsabilità individuale si sfuma, mentre assume peso una responsabilità collettiva, organizzativa, culturale.

Questo cambio di paradigma invita a ripensare la gestione dello sviluppo software. La “proprietà” del codice — intesa tradizionalmente come attributo individuale, strettamente legato allo sviluppatore — diventa una questione di governance, di processi chiari e condivisi, e di consapevolezza collettiva. Formazione, cultura aziendale, pratiche di revisione, e strumenti devono evolvere per accogliere questa realtà: il codice non è più un oggetto statico da “possedere”, ma un bene comune da gestire.

L’IA non è l’artefice della perdita di controllo sul codice: essa ha semplicemente fatto emergere una verità spesso ignorata. Ecco il paradosso: il futuro dell’innovazione non consiste nell’autonomia del singolo, ma nella solidità del gruppo. Il ruolo dello sviluppatore evolve: da scrittore a curatore, da creatore a custode condiviso. In questo contesto, abbracciare questa nuova consapevolezza è già un passo avanti verso una pratica più responsabile, collaborativa e autentica.

Di Fantasy