In un periodo storico in cui l’intelligenza artificiale pare invadere ogni ambito della nostra quotidianità, c’è chi sceglie di tirarsi indietro. Un movimento inedito, espresso con un’espressione brillante e provocatoria: AI veganism. Lo racconta Agatino La Torre su Scuolalink (22 agosto 2025), definendo questa scelta come l’astinenza consapevole dall’uso di chatbot, generatori di immagini e altre tecnologie automatizzate, per ragioni che spaziano dall’ambiente alla mente umana.
A livello ambientale, l’IA ha costi nascosti che raramente consideriamo. Generare un’immagine con un algoritmo può richiedere molta più energia rispetto a una semplice ricerca, oltre a consumare acqua per il raffreddamento dei data center. I sostenitori dell’AI veganism vedono in ogni richiesta digitale non solo un click, ma un’impronta ecologica reale.
Sul piano culturale, l’analogia con il veganismo alimentare è potente: così come si evita il consumo di prodotti animali, si smette di “nutrirsi” di soluzioni digitali che possono intaccare l’autonomia del pensiero. Il movimento è un modo di affermare: «credo nel valore della creatività umana, nel pensiero critico, nel lavoro costruito a mano».
Non è soltanto una scelta individuale, ma una risposta alla tecnologia onnipresente. Giovani studenti, curiosi digitalmente inclini alle novità, arrivano a rifiutare ChatGPT per motivi etici e ambientali, non per timore del plagio o del cheating. Qui c’è una chiara volontà di difendere una mente attiva, contro il rischio di dipendenza tecnologica.
E a questo si aggiunge un’idea affascinante e simbolica: un “conteggio calorico digitale” che, come una etichetta nutrizionale, riveli l’impronta ambientale di ogni prompt inviato all’IA. Un gesto che trasforma ogni ricerca in una scelta più ponderata e responsabile.
Un contributo interessante al dibattito è arrivato da The Guardian, in un articolo di Arwa Mahdawi (6 agosto 2025), che difende con ironia e profondità il fenomeno degli “AI vegans”: un grido in favore della nostra capacità di pensare, della nostra umanità e – appunto – della nostra responsabilità. La giornalista invita a riflettere: «Davvero vogliamo un’immagine di un gatto nello spazio al prezzo di una bottiglia d’acqua e dieci volte più energia rispetto a una ricerca Google?».
La riflessione si estende oltre. Secondo la pagina Wikipedia dedicata, l’AI veganism comprende anche chi rifiuta modelli di IA addestrati con dati ottenuti senza consenso, spesso a scapito di creatori indipendenti. Il rifiuto diventa così una scelta etica, paragonabile alla sensibilità verso i diritti degli animali e verso l’ambiente.