Un’azienda americana all’avanguardia nel campo dell’intelligenza artificiale che, nel cuore di una tensione geopolitica crescente, decide di chiudere temporaneamente la porta a importanti clienti internazionali: questo è il gesto deciso di Anthropic, che ha annunciato lo scorso 4 settembre (ora statunitense) la sospensione dell’erogazione dei propri servizi AI a società come ByteDance, Tencent, Alibaba, e persino agli utenti che vi accedono tramite servizi cloud intermedi. Si tratta, come sottolineato dalla testata AI Times, della prima volta nella storia in cui un’azienda di intelligenza artificiale degli Stati Uniti impone restrizioni di questo tipo rivolte a società cinesi già dominanti nel capitale.
Questa decisione, resa pubblica in modo rapido, nasce da un complesso mix di preoccupazioni per la sicurezza nazionale e di concorrenza tecnologica. Con il sospetto — non del tutto infondato — che alcune tecnologie possano essere usate per scopi militari, come la ricerca su aerodinamiche e armi superveloci o persino modelli di test per armi nucleari, le autorità statunitensi spingono le aziende tech verso una linea di difesa più rigida.
Anthropic ha motivato la scelta dichiarando che si tratta di una mossa necessaria per chiudere eventuali vie di accesso indirette ai propri sistemi da parte di entità potenzialmente collegate a governi o istituzioni particolarmente sotto osservazione (come quelle di Cina, Russia, Iran o Corea del Nord). Anche se questo taglio potrebbe comportare un mancato guadagno valutabile in diversi milioni di dollari, l’azienda ritiene che la tutela dei valori democratici e del proprio ruolo di leadership nell’AI abbia la priorità.
In parallelo, va notato che anche in Cina circolano divieti ufficiali sull’utilizzo di modelli AI americani come ChatGPT o Claude. Nonostante ciò, alcuni sviluppatori cinesi, affascinati dalle capacità di coding residenziali di Anthropic, continuano a utilizzarne i servizi attraverso VPN o altri strumenti di aggiramento.
La posizione di Anthropic non è isolata. Già in passato, il CEO Dario Amodei aveva sostenuto pubblicamente un inasprimento delle sale sulla controllo delle esportazioni verso la Cina. Anche OpenAI ha manifestato, in diversi contesti, la necessità di proteggere il suo primato tecnologico attraverso misure regolamentative e politiche dirette.
Da un lato, la mossa rappresenta una risposta concreta alle crescente pressione geopolitica tra Stati Uniti e Cina. Il dominio sul settore dell’intelligenza artificiale racconta infatti una corsa globale in cui la supremazia tecnologica non è solo un vantaggio economico, ma anche un simbolo e uno strumento di potere politico ed etico.
Dall’altro, l’impatto pratico è tangibile: le grandi aziende cinesi, già attive in svariati settori tech, si trovano improvvisamente tagliate fuori da uno degli ecosistemi digitali più avanzati al mondo. E l’effetto a catena su startup, centri di ricerca o provider di servizi cloud — che possono aver dipendenza o integrazioni con Anthropic — apre scenari di incertezza che vanno ben oltre un semplice calcolo di ricavi.
Nel lungo termine, si intravede anche una possibile frammentazione del mercato globale dell’AI: da un lato gli Stati Uniti e i suoi alleati stringono la presa sulla capacità di sviluppo interno, dall’altro la Cina accentua le proprie soluzioni native, come mostra la forte penetrazione di provider locali nonostante le restrizioni.