Hollywood ha deciso di passare al contrattacco. I tre colossi dell’intrattenimento Walt Disney, Universal e Warner Bros. Discovery hanno intentato una causa congiunta per violazione del copyright contro la startup cinese di intelligenza artificiale Minimax, accusata di aver utilizzato senza autorizzazione i loro personaggi più celebri all’interno del servizio di creazione video “Hailuo AI”.

La notizia, riportata da Reuters e da diverse altre fonti internazionali, segna un punto di svolta importante: finora la maggior parte delle azioni legali riguardava immagini e testi generati da sistemi di IA; oggi il fronte si allarga ai contenuti video, un terreno ancora più delicato e redditizio per le grandi case cinematografiche.

Secondo quanto denunciato in tribunale, Minimax avrebbe promosso il proprio strumento con lo slogan “Hollywood Studio in tasca”, lasciando intendere che chiunque potesse, con pochi comandi di testo, generare immagini e clip con protagonisti personaggi iconici come Darth Vader di Star Wars, i Minion di Cattivissimo Me e *Wonder Woman.

Il problema è che nessuno di questi utilizzi sarebbe stato autorizzato dai detentori dei diritti. Disney, Universal e Warner Bros. sostengono che Minimax abbia ignorato ogni richiesta di garanzie o chiarimenti, trattando proprietà intellettuali di enorme valore come se fossero libere da vincoli. Un comportamento che, a loro avviso, non solo viola la legge sul copyright, ma mina la possibilità stessa di gestire in modo responsabile l’intelligenza artificiale.

Nella causa presentata presso la Corte distrettuale della California, le major non si limitano a chiedere lo stop immediato del servizio Hailuo: vogliono anche che la startup restituisca i profitti accumulati grazie a quelle che considerano violazioni dirette e sistematiche dei loro diritti.

Le dispute legali fra creatori di contenuti e aziende di intelligenza artificiale non sono nuove. Negli ultimi due anni, autori, editori e case discografiche hanno denunciato l’uso non autorizzato di testi, immagini e canzoni per l’addestramento dei modelli generativi. Ma ora la questione si allarga all’universo più complesso e costoso della produzione audiovisiva.

Non è un caso che Disney e Universal avessero già intrapreso azioni contro Midjourney a giugno, accusandola di fornire servizi che replicavano personaggi e mondi cinematografici senza permesso. Warner Bros. Discovery, da parte sua, ha presentato una denuncia separata contro la stessa Midjourney all’inizio di settembre. La causa contro Minimax appare dunque come l’ennesimo tassello di una strategia di protezione coordinata, in cui gli studi di Hollywood cercano di difendere il proprio patrimonio creativo da strumenti capaci di replicarlo in pochi secondi.

Il caso mette in luce una tensione che ormai attraversa tutto il settore dell’IA generativa: da un lato, queste tecnologie aprono possibilità inedite per la creatività individuale, consentendo a chiunque di produrre video, animazioni o immagini senza competenze tecniche particolari. Dall’altro, rischiano di erodere il valore dei contenuti originali, permettendo di riutilizzare personaggi e mondi narrativi protetti senza licenze né compensi agli autori.

Per le major, è una minaccia diretta al modello economico su cui si regge Hollywood. Un personaggio come Darth Vader non è solo parte di una storia: è un marchio, un simbolo, una proprietà che genera miliardi in merchandising, giochi, spin-off. Se strumenti di IA consentono di appropriarsene liberamente, l’intero ecosistema del copyright vacilla.

La causa solleva domande profonde: è sufficiente addestrare un modello su dati presi dal web per considerare i risultati “nuovi” e non soggetti a copyright? E fino a che punto un personaggio riconoscibile può essere replicato da un algoritmo senza che ciò diventi plagio?

Negli Stati Uniti, come in Europa, la legge sul copyright non è stata scritta pensando all’intelligenza artificiale generativa. I tribunali si trovano ora a dover stabilire principi che potrebbero valere come precedenti cruciali per gli anni a venire.

C’è anche un aspetto etico: se i modelli generativi diventano strumenti di uso comune, è giusto limitarne le potenzialità per proteggere le grandi industrie? O bisogna invece trovare un equilibrio che riconosca e remuneri i detentori dei diritti, senza soffocare l’innovazione e la creatività individuale?

Il caso Disney-Universal-Warner contro Minimax è solo l’ultima battaglia in un conflitto che si annuncia lungo e complesso. La rapidità con cui strumenti come Hailuo AI si diffondono rende difficile per le major reagire in tempo reale, ma il messaggio è chiaro: Hollywood non intende tollerare che i suoi personaggi più preziosi diventino terreno libero per esperimenti di intelligenza artificiale.

Nei prossimi mesi, il tribunale californiano sarà chiamato a stabilire se la condotta di Minimax rappresenti davvero una violazione del copyright e quali limiti si possano porre alle startup che sviluppano AI creative. Nel frattempo, il caso segna un precedente che potrebbe influenzare non solo l’industria dell’intrattenimento, ma l’intero ecosistema tecnologico globale: quello in cui la linea fra ispirazione e violazione, fra creatività e appropriazione, si fa sempre più sottile.

Di Fantasy