Ogni anno, in India, le calamità naturali — inondazioni improvvise, frane, crepacci che si aprono nei ghiacciai, violente tempeste — sconvolgono comunità, distruggono infrastrutture e lasciano dietro di sé un’enorme scia di vite messe in pericolo. Una delle difficoltà più grandi per chi deve intervenire è il tempo: per arrivare sul campo con informazioni affidabili, squadre di emergenza, organizzazioni governative e servizi di soccorso spesso devono aspettare ore, a volte giorni. Nel frattempo, il peggio può già essere accaduto.
In teoria, l’osservazione dallo spazio avrebbe già la risposta: immagini satellitari in grado di coprire vaste aree remote, individuare cambiamenti del terreno, tracciare il corso di fiumi, valutare i danni ai villaggi inondati e anticipare i punti critici. Ma in pratica, questo potere rimane in gran parte inutilizzato, o quantomeno molto limitato, quando l’analisi richiede troppo tempo. È qui che entra in gioco un’idea nuova, affascinante e potenzialmente rivoluzionaria: i satelliti che “pensano”, o meglio satelliti dotati di capacità di elaborazione a bordo.
Secondo il progetto proposto da SkyServe, si punta a dotare i satelliti non soltanto delle tradizionali fotocamere e sensori, ma anche di chip e moduli di intelligenza artificiale che lavorino direttamente in orbita. Così, l’immagine catturata non deve “aspettare” di essere scaricata, inviata a terra, analizzata e poi trasformata in insight: questi ultimi possono essere generati già nello spazio e trasmessi direttamente agli smartphone, ai centri di comando o ai sistemi d’emergenza terrestri.
Immagina un satellite che rileva un’onda d’acqua che esonda un fiume, individua l’espansione del fronte dell’inondazione, stima il percorso probabile dell’acqua in base al profilo del terreno e in pochi minuti avverte già le comunità a valle. Oppure un satellite che, in prossimità di montagne glaciali, analizza la deformazione dei ghiacciai, la pressione lungo fratture interne e innesca un allarme per i villaggi sottostanti, senza dover attendere scansioni multiple da terra.
Uno degli aspetti più intriganti di questa tecnologia è la riduzione drastica nei tempi: il “collo di bottiglia” non è più nella trasmissione o nell’elaborazione terrestre, bensì nel ritardo minimo fra il momento dello scatto e l’analisi critica. In scenari di crisi, ogni minuto guadagnato può salvare vite. Inoltre, la capacità di eseguire elaborazioni a bordo consente di ridurre la quantità di dati da trasmettere verso terra, “filtrando” ciò che è davvero rilevante e alleggerendo la rete di comunicazione.
Certo, le sfide tecniche non mancano: i satelliti devono integrare hardware robusti ma leggeri, resistenti alle condizioni estreme dello spazio; i modelli di IA devono essere efficienti, in grado di lavorare con potenza limitata e consumi energetici ridotti; è necessario garantire l’accuratezza dei dati anche in presenza di condizioni meteorologiche avverse, nuvole o ombreggiamenti; e infine, bisogna collegare questo sistema alle reti terrestri in modo affidabile e sicuro.
Ma l’urgenza della necessità spinge la ricerca avanti. In un Paese come l’India, con territori vasti, grandi differenze climatiche e popolazioni vulnerabili in aree remote, avere satelliti intelligenti che anticipano l’evoluzione di un disastro può cambiare radicalmente il modo in cui si progettano la prevenzione e la risposta. Le autorità, una volta ricevuto un alert in tempo reale, possono ridistribuire risorse, evadere evacuazioni mirate, dirigere mezzi verso zone critiche e salvare persone che altrimenti non avrebbero avuto avvisi sufficienti.