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In un momento in cui l’intelligenza artificiale vola sulle ali del web, raccogliendo, sintetizzando e rispondendo grazie a montagne di dati tratti da contenuti online, molti proprietari di siti web si trovano in una situazione difficile: i loro testi, articoli, blog e risorse possono essere assorbiti — senza riconoscimenti né compensi — da crawler e modelli IA che “scrivono risposte” al posto degli utenti. Per contrastare questa tendenza, Cloudflare ha lanciato un nuovo strumento chiamato Content Signals Policy, che offre a chi gestisce contenuti un modo per specificare come, quando e per cosa i loro materiali possono essere usati dai sistemi IA.

L’idea che sta dietro a questa policy è apparentemente semplice, ma carica di implicazioni: trasformare il file robots.txt (usato da decenni per dire ai crawler “puoi esplorare queste parti del sito, ma non queste altre”) in qualcosa di più sofisticato, capace di esprimere non solo se un bot può accedere a una pagina, ma come può usarne il contenuto dopo. In sostanza, aggiungere segnali che diano indicazioni su tre usi distinti: search (cioè l’indicizzazione classica nei motori di ricerca), ai-input (utilizzo del contenuto per alimentare risposte AI), e ai-train (uso per addestrare modelli).

In pratica, nel robots.txt un proprietario di sito potrà includere commenti come:
Content-Signal: search=yes, ai-train=no

Questo significherebbe che le pagine possono essere indicizzate per la ricerca tradizionale (con link e snippet), ma non possono essere usate per addestrare modelli IA. Se non viene specificata una preferenza per “ai-input”, significa che non si esprime né consentimento né divieto su quell’uso.

Cloudflare ha anche spiegato che — per molti dei suoi clienti che gestiscono robots.txt attraverso la sua infrastruttura — la policy sarà automaticamente inclusa nei file già serviti, in modo da dare ai siti un segnale preventivo.

Per i domini gratuiti che non hanno un robots.txt, verrà restituito ai crawler un commento che spiega la policy, senza però imporre automaticamente nessuna restrizione. I proprietari potranno in seguito decidere come configurare i segnali.

Questa iniziativa non è pensata come blocco tecnico obbligatorio. Cloudflare mette in chiaro che i segnali sono preferenze da esprimere: chi gestisce crawler o modelli IA potrebbe ignorarli. Per questo motivo, la combinazione con altre difese — firewall, gestione dei bot, restrizioni a livello di rete — è suggerita per chi vuole una protezione più robusta.

L’obiettivo strategico è realizzare un equilibrio: non chiudere il web, ma dare libertà ai creatori di contenuti di dichiarare come vogliono che i loro testi, immagini e dati vengano usati. Cloudflare afferma che questo passo è necessario per sostenere un web “aperto e vitale”, dove i creatori non vengano sfruttati passivamente dai modelli IA che aggregano e rigenerano informazioni.

Il momento scelto per questa mossa non è casuale. Molti editori e autori lamentano che i sistemi IA che generano “risposte rapide” stanno riducendo il traffico diretto verso i loro siti, sottraendo visibilità, clic e potenzialmente introiti pubblicitari. Con Content Signals, Cloudflare dà loro uno strumento per differenziare il permesso: uno può accettare che Google (o altri) indicizzino la pagina, ma dire “no” al fatto che quella pagina venga digerita per generare risposte IA che non rimandano più all’origine.

Naturalmente, la domanda cruciale rimane: i grandi attori del mondo IA rispetteranno questi segnali? Ad oggi non ci sono garanzie. Google, in particolare, non si è ancora impegnato pubblicamente a obbedire ai nuovi segnali. La policy di Cloudflare non ha forza di legge automatica: chi la ignora tecnicamente rimane in grado di farlo. Ma l’idea è che un segnale chiaro, reso pubblico e ampio (Cloudflare gestisce già milioni di domini), diventi un punto di riferimento normativo e tecnico nel web.

In ambito pratico, per un sito che voglia proteggersi, l’adozione di Content Signals significa un passo in più verso il “diritto d’autore digitale” nell’era dell’IA, oltre alle strategie già usate: watermark, blocchi di bot, autenticazioni, controllo dei bot crawler “sospetti”. Chi vuole davvero difendere il proprio contenuto — soprattutto se è prezioso o distintivo — potrebbe usare segnali + altre contromisure in sinergia.

Di Fantasy