Immagine AI

L’immagine è potente: in un futuro non troppo lontano, il numero di agenti di intelligenza artificiale attivi — chatbot, assistenti autonomi, bot che operano in autonomia — supererà quello degli umani. Secondo Spencer Kimball, CEO di CockroachDB, non si tratta più di una proiezione fantascientifica, ma di una trasformazione infrastrutturale già in atto. È in questa cornice che si colloca la visione che CockroachDB propone: non solo un database, ma la colonna portante di un ecosistema dove l’“operatività AI” richiede resistenza, scalabilità, efficienza e adattabilità.

Kimball osserva che l’industria dei database è attraversata da un cambiamento fondamentale. Non si tratta più tanto di ospitare dati e rispondere a query, ma di gestire flussi giganteschi di interazioni autonome che generano e consumano dati in tempo reale. Mentre oggi gran parte del traffico database è creato da utenti umani — che, pur numerosi, hanno limiti di velocità e prevedibilità — l’ascesa degli agenti AI impone un salto di scala. Improvvisamente, ogni chiamata, ogni processo, ogni decisione automatica può tradursi in un impegno notevole per la base dati. Questo è ciò che Kimball chiama il fenomeno della “operational big data”: dati che non sono solo archivi da analizzare, ma parte attiva di sistemi viventi che reagiscono in tempo reale.

Per far fronte a questa esigenza, CockroachDB aggiorna il proprio modello. Non più semplicemente un database distribuito robusto, ma un’architettura pensata per sostenere la moltiplicazione delle operazioni automatiche, delle richieste simultanee, della multidimensionalità delle query AI. Kimball mette in evidenza come il database debba portare con sé non solo capacità di resilienza e replica, ma anche efficienza e performance su operazioni complesse, come l’indicizzazione vettoriale, indispensabile per molte architetture AI moderne (ad esempio nel retrieval-augmented generation).

Un aspetto innovativo è l’introduzione—o il potenziamento—di indici vettoriali distribuiti all’interno di CockroachDB, una sfida tecnica significativa perché implica gestire miliardi di vettori senza sacrificare consistenza, latenza o accuratezza. In altre parole, non si tratta di appendere un “database vettoriale” accanto al database principale, ma di integrarlo nel motore stesso, come una delle modalità disponibili per le query. Questo sforzo ingloba algoritmi che partizionano, bilanciano e aggiornano indici in domini ad altissima dimensione.

Kimball sottolinea anche miglioramenti pratici che CockroachDB ha introdotto per rispondere a richieste massicce: la scrittura “buffered” locale per evitare round trip di rete inutili quando si scrive e si legge nello stesso contesto, e la memorizzazione di piani query generici (generic query plans) da riutilizzare per operazioni ripetute. Questi stratagemmi, combinati, contribuiscono a ridurre la latenza e migliorare l’efficienza globale sotto carichi intensivi.

Ma quello che colpisce nella visione di Kimball è l’attenzione al “costo operativo sapiens”: ossia pensare non solo alle prestazioni pure, ma all’economicità di gestione quando un sistema AI genera traffico massiccio e continuo. Il database deve sostenere non solo una domanda crescente, ma farlo senza moltiplicare i costi in modo insostenibile. In quella prospettiva, ogni ottimizzazione, ogni riduzione di latenza, ogni economia di risorse diventa strategica.

Kimball sa che competere in questo scenario non è banale: anche aziende come MongoDB o i servizi gestiti multicloud stanno puntando su SQL distribuito, vector search, alta disponibilità. Ma secondo lui CockroachDB ha un differenziale chiave nella coesione dell’architettura: non aggiunge “pezzi”, ma incorpora funzioni AI-native e operazionali in un unico stack coerente. Questo approccio, sostiene, favorisce la gestione semplificata, la resilienza e una curva lineare di scaling.

Di Fantasy