Nel profondo dell’India, Jamtara non è solo un luogo geografico, ma un monito per la società digitale: è il simbolo di un modo perverso con cui la tecnologia può essere usata contro le persone. Il distretto di Jharkhand è diventato tristemente famoso come “phishing capital”, un punto focale dove i truffatori orchestrano con maestria una rete di inganni telefonici, convincendo vittime distratte o disinformate a consegnare informazioni personali, codici, credenziali bancarie. Il timore — che oggi è quasi certezza — è che scenari analoghi possano ripetersi altrove, se non si sviluppano contromisure adeguate.
L’articolo di Analytics India Magazine esplora come una società chiamata Bureau, nata nel 2016, abbia deciso di affrontare questa sfida dal vivo — non limitandosi a denunciare il fenomeno, ma tentando di prevenirlo sul campo con l’ausilio dell’intelligenza artificiale e delle reti grafiche (graph networks). L’idea è semplice, ma ambiziosa: rendere quei sistemi di frode meno efficaci, più rischiosi da mettere in piedi, in modo tale da scoraggiarne l’emergere.
L’India ha perso cifre impressionanti a causa delle frodi online — secondo alcuni rapporti, l’equivalente di decine di migliaia di crore di rupie. In un contesto in cui l’adozione del digitale cresce rapidamente, e l’intelligenza artificiale rende possibile la creazione di falsi convincimenti, identità sintetiche e deepfake, il pericolo è che la tecnica dei truffatori evolva. Ogni volta che la tecnologia compie un salto, chi vuole manipolare la fiducia umana tenta di seguirlo.
Bureau ha messo al centro del proprio approccio la costruzione di una “rete di collusione” (graph of collusion): un grafo che collega entità sospette — numeri di telefono, conti, transazioni — e che aiuta a scovare le relazioni nascoste. Se un numero chiama molte persone diverse, se un conto riceve fondi da soggetti apparentemente sconnessi, se una sequenza di telefonate segue pattern strani: tutto questo può comparire come “clique sospetto” o “pattern di cooperazione” all’interno del grafo. Una volta che strutture di collusione emergono, possono essere marcatrici affidabili di frode. Questo sistema ha permesso a Bureau di ridurre le attività fraudolente basate su collusione del 95% per i propri clienti.
Ma non basta costruire un grafo: serve alimentarlo con dati aggiornati, e servirsi di modelli che sappiano inferire, anticipare, “fiutare” anomalie. In questo campo, l’AI riveste due ruoli: da un lato, modelli di machine learning (o grafici) possono individuare pattern non evidenti; dall’altro, l’analisi dei dati in tempo reale consente di monitorare attività sospette prima che diventino dannose. In molti casi, ciò richiede anche collaborazione tra aziende private, operatori di telefonia, banche e autorità regolatorie — un ecosistema dove il dato e la condivisione diventano alleati della sicurezza.
Bureau non è sola: esistono altre società e iniziative che cercano di fare lo stesso, ma il punto è la maturità dell’approccio. Non serve solo tecnologia brillante: serve contesto, sostegno istituzionale, volontà politica e legale affinché i segnali di frode possano essere segnalati, investigati, perseguiti. Se un grafo segnala una rete sospetta, ma non c’è chi la controlla, il sistema rimane — in buona parte — uno strumento predittivo senza forza coercitiva.
Ci sono poi sfide difficili: i truffatori cambiano numeri di telefono, operano da regioni remote, usano identità sintetiche che non lasciano tracce dirette. Le frodi su larga scala possono aggirare controlli tradizionali. Perciò il sistema deve essere resiliente: non solo individuare i casi noti, ma anticipare quelli futuri, imparare dalle nuove varianti e reagire. Il tema della “difesa proattiva” emerge come cruciale nella lotta alle frodi digitali.
Se guardiamo al concetto più ampio, la storia di Jamtara e l’esperienza di Bureau offrono un monito globale. Non basta reagire, punire o educare: bisogna costruire infrastrutture di prevenzione basate su dati, reti e AI. Nel nostro mondo interconnesso, non è solo una questione locale: i metodi di frode attraversano confini, sfruttano fragilità comuni e approfittano di mercati dove chi regola è un passo indietro rispetto a chi contraffà.
In Italia — e più in generale in Europa — potremmo trovarci di fronte varianti analoghe di “Jamtara digitale”: campagne telefoniche, SIM fraudolente, identità false, attacchi basati sulla fiducia. La lezione è che dobbiamo attrezzarci prima che il fenomeno esploda. Dobbiamo pensare in termini di reti — chi chiama chi, chi trasferisce fondi a chi, chi possiede relazioni nascoste — e applicare algoritmi che possano rispondere in tempo reale, magari coadiuvati con la sorveglianza normativa e la condivisione tra aziende.
Al termine, quel che emerge è che Jamtara può essere un simbolo, ma non deve diventare un modello. Se la tecnologia può essere usata per ingannare, deve esserci chi la mette al servizio della protezione. Il rischio non è solo numerico o commerciale: è sociale, è politico, è culturale. E affrontarlo richiede più della tecnologia: richiede fiducia, collaborazione e una visione dove il progresso digitale non lasci spazi per chi vuole distruggerlo dall’interno.