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Si è da poco affacciato uno studio che tenta di rispondere a una domanda semplice, ma affascinante: in che modo gli utenti davvero utilizzano ChatGPT nella vita quotidiana e professionale? I risultati derivano dal rapporto realizzato da OpenAI in collaborazione con l’economista di Harvard David Deming. Da quel che emerge, il quadro che si delinea è meno “automazione totalizzante” e più “supporto decisionale intelligente” — e merita uno sguardo approfondito.

Lo studio si basa su un’enorme mole di dati: ben 1,5 milioni di conversazioni con ChatGPT, filtrate attraverso meccanismi di anonimizzazione che rimuovono dati personali sensibili mentre mantengono traccia dell’intento e dei tipi di richiesta. In parallelo, informazioni demografiche aggregate — come livello d’istruzione o tipo di lavoro — sono state collegate ai pattern d’uso tramite ambienti protetti, garantendo la privacy individuale. Ciò permette agli autori di trarre conclusioni su come diversi gruppi impieghino lo strumento, senza però violare la riservatezza.

Una delle scoperte più importanti è che ChatGPT è usato più come co-pilota che come “operaio”. In altri termini, molte più persone “chiedono” che “fanno”: nel gergo dello studio, esistono due grandi categorie di prompt: “Asking” (domandare, cercare consigli, chiedere spiegazioni) e “Doing” (richiedere al sistema di produrre testi, scrivere email, generare codice). Storicamente si pensava che l’IA avrebbe preso in carico funzioni operative, ma i dati raccontano una storia lievemente diversa.

Nel 2025, circa il 70% delle conversazioni non-professionali rientra nella sfera dell’“Asking” — una crescita significativa rispetto al 2024, quando questa categoria era al 53 %. Le richieste personali spaziano da quesiti di tipo “how-to”, a consigli pratici, traduzioni, revisioni e supporto creativo. In ambito lavorativo, “Asking” è in aumento, mentre “Doing” sembra ridursi in proporzione: rispetto al 2024, l’uso di prompt “Doing” ha subito un calo, scendendo dal 46% circa al 34,6%, mentre “Asking” è salito fino al 51,6%.

Perché questo cambio di rotta è interessante? Lo studio suggerisce che il vero valore economico dell’IA — almeno oggi — risiede nell’accelerare e migliorare i processi decisionali, piuttosto che nel sostituire l’umano nell’esecuzione pura di compiti. In settori dove il guadagno è legato alla qualità delle scelte e alla rapidità con cui queste vengono prese, avere un “assistente cognitivo” che offre prospettive, controprove, ricerche o stime può fare la differenza.

Restando sul versante professionale, lo studio mostra che chi ha un livello di istruzione avanzato tende maggiormente a usare ChatGPT per “Asking”, mentre gli utilizzi “Doing” sono relativamente meno frequenti. Anche in ambiti tecnici e scientifici, in cui l’automazione poteva sembrare più naturale, l’atteggiamento prevalente rimane quello di sfruttare l’IA come supporto mentale piuttosto che cedergli compiti interamente.

Ma cos’è che spinge le persone a preferire “Asking” rispetto a “Doing”? Lo studio riflette su questo punto, ipotizzando che la scelta rifletta i limiti attuali delle tecnologie di generazione automatica: in fin dei conti, scrivere un prompt efficiente è un’arte, e ChatGPT non possiede una “memoria contestuale” infinita. I modelli linguistici perdono coerenza e qualità quando il compito diventa multi-step, complesso o richiede un ampio contesto. Per queste ragioni, molti utenti preferiscono dare indicazioni, richiedere suggerimenti, far correggere bozze piuttosto che delegare interamente la produzione di contenuti.

Il report suggerisce anche che, sebbene oggi prevalga la modalità “copilota”, in futuro gli utenti potrebbero mutare atteggiamento mano a mano che gli agenti IA diventano più sofisticati. Tuttavia, perfino con l’evidente entusiasmo per l’“automazione totale” che si legge sui social e nei blog, il rapporto rivela che per ora l’equilibrio pende verso “consulenza” più che “produzione”.

Una curiosità emersa dallo studio riguarda il concetto di “consumer surplus”. Si tratta del margine tra quanto un utente sarebbe disposto a pagare per il servizio e quanto effettivamente paga. Secondo le stime citate, negli Stati Uniti tale surplus annuale per gli utenti di ChatGPT si aggira su cifre molto elevate: l’IA genera un valore aggiuntivo che va ben oltre il suo prezzo di mercato. Si stima che molti utenti non sarebbero disposti a rinunciare al servizio per cifre che superano di molto il costo effettivo.

Di Fantasy