Immagine AI

Nel cuore della Florida, il museo intitolato a Elliott sta offrendo qualcosa che va ben oltre la semplice vetrina di reperti antichi: grazie alla collaborazione con RAVATAR, il museo ha dato vita a un’installazione davvero singolare, un’eco dal passato resa viva attraverso l’intelligenza artificiale. Si tratta di un ologramma interattivo di Howard Carter, l’archeologo britannico che nel 1922 scoprì la tomba del faraone Tutankhamon.

La proposta è affascinante: i visitatori del museo possono “incontrare” Carter non come un manichino o un audio-guida, ma come una figura digitale che parla, risponde, racconta. Progettato da RAVATAR, l’avatar olografico riproduce nei dettagli l’aspetto, la voce e il carattere storici di Carter, a partire da foto d’epoca, scritti originali e studi accurati.

Questa installazione non è solo un colpo d’occhio high-tech, ma un modo nuovo di rendere accessibile la storia. Il museo ha voluto spingersi oltre l’esposizione statica: l’ologramma è ospitato all’interno di una “holobox”, una gabbia luminosa immersiva che consente all’utente di interagire direttamente, porre domande, ascoltare storie e magari stupirsi davanti a risposte che sembrano davvero umane.

RAVATAR da parte sua ha dichiarato che l’obiettivo è “umanizzare l’IA” non solo nell’aspetto, ma nel modo in cui relazione con le persone. L’avatar di Carter “era un passo verso rendere la storia qualcosa con cui si può parlare”.

Ci sono vari motivi per cui un progetto del genere salta agli occhi: innanzitutto la figura di Howard Carter è già di per sé emblematica nella storia dell’archeologia: la scoperta della tomba di Tutankhamon catturò l’immaginazione del mondo intero all’inizio del XX secolo. Usare la sua figura per un’installazione interattiva significa combinare fascino storico e tecnologia moderna.

In secondo luogo, rendere il passato “dialogabile” crea un’esperienza immersiva molto più empatica rispetto a una classica teca con reperti e cartelli esplicativi. Si genera un contatto più immediato, quasi personale: il visitatore non è solo spettatore, ma interlocutore. Il museo riferisce che i visitatori definiscono l’esperienza “ispirante”, “emozionante”, “come incontrare la storia di persona”.

Infine, il progetto dimostra come le istituzioni culturali possano sperimentare l’innovazione senza perdere la loro missione educativa. Il museo ha parlato di una relazione con RAVATAR “caratterizzata da professionalità, reattività e creatività artistica”.

Immagina il visitatore che entra, magari senza sapere bene cosa lo aspetta, e si trova di fronte una forma luminosa, che prende corpo e voce. Potrebbe sembrare fantascienza, eppure siamo in un museo, davanti a un oggetto culturale. Eppure quell’ologramma dice: «Sono Howard Carter, e vi racconterò come ho scoperto la tomba di Tutankhamon». Nel momento in cui la tecnologia riesce a “personificare” un uomo che visse quasi un secolo prima, saltando il confine tra tempo e spazio, si dischiude un nuovo modo di fare cultura.

È un passo verso qualcosa in cui il museo non è più solo custode del passato, ma ponte tra tempi diversi: un’istituzione che permette di dialogare con la storia, non solo di osservarla. Questo potrebbe aprire scenari interessanti: pensiamo ad altre figure storiche, ad altre epoche, ad altre discipline che potrebbero essere “rianimate” in questo modo.

Il progetto dell’ologramma AI al Museo Elliott, sviluppato da RAVATAR, è un esempio affascinante di come tecnologia e patrimonio culturale possano incontrarsi per creare un’esperienza nuova, coinvolgente e personale — lontana dalle esposizioni tradizionali e vicina all’idea di “incontro” con il passato.

Di Fantasy