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Il dibattito sul futuro del lavoro nell’era dell’Intelligenza Artificiale ha ricevuto un nuovo, provocatorio contributo da Sam Altman, CEO di OpenAI, le cui recenti dichiarazioni hanno riacceso la discussione sul valore e sulla natura stessa del lavoro. Dopo la conferenza DevDay di OpenAI, Altman ha partecipato a un podcast dove ha espresso la convinzione che una parte significativa delle occupazioni che l’AI andrà a creare non sarà inizialmente percepita, né accettata, come “vero lavoro”. Questa prospettiva, che sfida le nostre nozioni preesistenti di attività produttiva, riflette una trasformazione epocale del panorama occupazionale.

Il ragionamento di Altman è partito da una riflessione di Rowan Cheung, curatore di una newsletter sull’AI, che ha tracciato un parallelo storico: così come cinquanta anni fa un agricoltore non avrebbe potuto credere che Internet avrebbe generato miliardi di nuovi posti di lavoro, oggi, chi lavora con la conoscenza fatica a immaginare le nuove professioni. Cheung ha suggerito che, sebbene un miliardo di lavoratori della conoscenza possano sentirsi minacciati dall’AI, nuovi posti di lavoro emergeranno inevitabilmente.

Altman ha risposto riprendendo la metafora dell’agricoltore. Ha ipotizzato che quell’agricoltore, vedendo le attività che oggi svolgiamo noi — professionisti, knowledge worker — le avrebbe liquidate come “non vero lavoro”. Per l’agricoltore, il “vero lavoro” era creare cibo, qualcosa di tangibile e necessario per la sopravvivenza umana. Altman ha esteso questo concetto al futuro, suggerendo che le persone tra cinquant’anni potrebbero guardare le nostre attuali occupazioni come noi potremmo vedere le loro nuove attività: semplicemente “passatempi” o “giochi”.

Questa prospettiva solleva un punto fondamentale: la ridefinizione del valore del lavoro in relazione al progresso tecnologico. Ogni rivoluzione industriale ha ridefinito ciò che è considerato “lavoro utile” e ciò che non lo è. L’AI, secondo Altman, accelererà questo processo in misura esponenziale, creando ruoli che oggi sono concettualmente inconcepibili o che non rientrano nelle categorie economiche e sociali attuali.

Le dichiarazioni di Altman non sono state esenti da critiche. Alcuni commentatori hanno accusato il CEO di una delle più grandi aziende di AI di sminuire il valore del lavoro umano. Tuttavia, altri hanno interpretato il suo punto di vista come una puntuale constatazione che la tecnologia sta ridefinendo costantemente la struttura del lavoro.

In questo contesto, la tesi di Altman richiama alla mente il celebre saggio “On the Phenomenon of Bullshit Jobs” (Sulla Fenomenologia dei Lavori di Merda) dell’antropologo David Graeber, pubblicato nel 2013. Graeber sosteneva che una porzione significativa delle occupazioni moderne fosse costituita da compiti privi di valore sociale tangibile, che consistevano principalmente nel replicare procedure formali. La logica è simile: se il lavoro è percepito come una mera ripetizione di procedure, l’automazione dell’AI non farà che svelare questa vacuità. Anche l’ex CTO di OpenAI, Mira Murati, si era espressa su un tono analogo, suggerendo che alcuni dei lavori eliminati dall’AI erano, in primo luogo, “lavori di cui l’umanità non aveva bisogno”.

Queste affermazioni, pur suscitando controversie e l’accusa di svalutare la fatica umana, pongono una domanda esistenziale su come l’AI stia riorganizzando la struttura del lavoro e, soprattutto, quali tipi di occupazioni l’umanità desidererà effettivamente svolgere quando la maggior parte dei compiti cognitivi sarà automatizzata.

Nonostante le preoccupazioni sulla dislocazione lavorativa, Altman mantiene un forte ottimismo sulla natura umana. Egli crede che gli esseri umani abbiano una “voglia istintiva” di fare qualcosa e di trovare un senso nel proprio agire. “Credo nel desiderio umano,” ha affermato, “alla fine troveremo cose da fare.”

Questa visione suggerisce che, anche se l’AI dovesse assumersi la maggior parte delle mansioni ripetitive e procedurali, l’uomo reindirizzerà le proprie energie verso nuove forme di attività che oggi potremmo non riconoscere come economicamente “produttive”, ma che diventeranno il fondamento del lavoro di domani. Il dibattito innescato da Sam Altman non riguarda solo l’efficienza algoritmica, ma la ricerca di significato e il futuro valore intrinseco dell’attività umana in un mondo sempre più mediato dall’Intelligenza Artificiale.

Di Fantasy