Il recente tentativo di McDonald’s di cavalcare l’onda dell’innovazione attraverso l’uso dell’intelligenza artificiale (AI) per la realizzazione del suo spot pubblicitario natalizio si è trasformato in un clamoroso e imbarazzante passo falso. La catena di fast food, nota per le sue campagne di marketing globali, è stata sommersa da una valanga di critiche che l’hanno costretta a ritirare la clip, dimostrando che l’AI generativa, se usata senza il filtro e la supervisione della creatività umana, può produrre risultati grotteschi e controproducenti.
Lo spot incriminato era stato creato interamente o quasi avvalendosi di strumenti di AI generativa, nel tentativo di produrre un contenuto visivamente accattivante e virale a costi presumibilmente ridotti. Tuttavia, il risultato finale, come spesso accade quando l’AI è lasciata a briglia sciolta, ha virato verso un surrealismo involontario e inquietante. Le immagini generate presentavano i tipici difetti e le stranezze che ancora affliggono i modelli di generazione visiva: figure umane con mani e arti deformati o inesistenti, oggetti che si fondevano in modi illogici con lo sfondo e texture che sfidavano le leggi della fisica e dell’anatomia.
La critica maggiore mossa al gigante del fast food non è stata solo la scarsa qualità tecnica dell’immagine, ma l’evidente mancanza di “anima” e di cura artigianale. Il pubblico, in particolare durante le festività natalizie, cerca contenuti che evochino calore, autenticità e un senso di connessione umana. Lo spot di McDonald’s, percepito come freddo, disorganizzato e inquietante nella sua “perfezione” algoritmica, ha fallito miseramente nel toccare le corde emotive degli spettatori. La reazione sui social media è stata immediata e implacabile, con un coro di voci che denunciavano la pigrizia creativa dell’azienda e la sua volontà di sostituire i professionisti umani con la macchina per un mero risparmio economico.
Il caso McDonald’s funge da monito per tutte le grandi aziende che guardano all’AI come a una scorciatoia per la produzione di contenuti. L’intelligenza artificiale è uno strumento straordinario per l’efficienza, l’automazione e persino per l’ispirazione iniziale, ma non può, almeno per il momento, sostituire completamente la sensibilità artistica, la capacità di storytelling coerente e la comprensione delle sfumature culturali che sono essenziali per il marketing di successo. Il processo creativo richiede una curatela umana attenta, capace di discernere tra l’output grezzo e spesso bizzarro dell’AI e un prodotto finito che risuoni emotivamente con il pubblico.
In sostanza, la lezione di questo flop natalizio è che l’AI generativa funziona meglio non come sostituto, ma come co-pilota. La sua potenza deve essere incanalata da creativi, registi e marketer umani che ne gestiscano gli output per assicurare che il prodotto finale sia non solo tecnicamente accettabile, ma anche strategicamente efficace e, soprattutto, emotivamente coinvolgente. Per McDonald’s, il costo del ritiro dello spot e del danno reputazionale è stato un prezzo salato pagato all’altare di un’innovazione tecnologica usata in modo superficiale e senza giudizio critico.