Immagine AI

Si è passati rapidamente dall’era dei chatbot dimostrativi a quella degli agenti AI autonomi e sofisticati, capaci di orchestrare flussi di lavoro complessi, condurre ricerche approfondite e gestire compiti di lunga durata. Questa ambizione, sebbene promettente, ha immediatamente fatto emergere un collo di bottiglia cruciale: la gestione efficiente delle risorse di calcolo e degli strumenti.

La sfida risiede nel fatto che, man mano che gli agenti lavorano su attività che si estendono nel tempo, la quantità di informazioni che devono tracciare – cronologia delle interazioni, output degli strumenti esterni, documenti di riferimento, e il ragionamento intermedio – aumenta esponenzialmente. La risposta intuitiva e per lungo tempo prevalente è stata quella di affidarsi a context window sempre più ampie nei modelli linguistici (LLM). Tuttavia, l’esperienza diretta ha dimostrato che questa strategia, per quanto apparentemente semplice, è insostenibile. Inondare un modello con una quantità crescente di dati grezzi, semplicemente “incollando” la cronologia completa e gli output dei tool nel prompt (il cosiddetto “modello ingenuo”), porta a una triplice pressione negativa: i costi di inferenza e la latenza del modello salgono alle stelle, trasformando l’agente in una soluzione proibitivamente lenta e costosa, e, non meno importante, la qualità decisionale dell’agente crolla. Si verifica il noto fenomeno del “lost in the middle”, dove il modello, sovraccaricato di contesto irrilevante o datato, perde il segnale cruciale per prendere la decisione successiva.

Di fronte a queste problematiche di sostenibilità, Google ha introdotto una nuova disciplina operativa e tecnologica: l’Ingegneria del Contesto (Context Engineering). Il concetto è semplice ma rivoluzionario: il contesto e la memoria dell’agente non devono più essere trattati come un semplice buffer di testo, ma come un sistema di prima classe, con una propria architettura, ciclo di vita e vincoli ben definiti. L’obiettivo non è conservare tutto, ma conservare il più rilevante, ottimizzando la “densità” delle informazioni inviate al modello per ogni passo decisionale.

A supporto di questa visione, strumenti come il Google Agent Development Kit (ADK) sono stati progettati per consentire agli sviluppatori di costruire sistemi multi-agente che mantengano un controllo granulare sul comportamento e sull’efficienza. Al centro di questo approccio vi è la necessità di insegnare agli agenti a “spendere con saggezza” il loro budget. Questo non riguarda solo i token e i cicli di compute necessari per l’LLM, ma anche l’uso degli strumenti esterni, come la ricerca web o la consultazione di database aziendali (RAG – Retrieval-Augmented Generation). Ogni chiamata a uno strumento comporta un costo, sia in termini monetari che di latenza. Un agente efficiente è quello che non solo sa come usare uno strumento, ma anche se è necessario usarlo in quel preciso momento.

La vera differenza la fa l’orchestrazione. Invece di un singolo modello che fa tutto, il framework di Google incoraggia la creazione di sistemi multi-agente, dove agenti specializzati si occupano di compiti specifici (come l’aggregazione di dati o l’ottimizzazione delle query SQL), ognuno gestendo un proprio sotto-budget di risorse e contesto. Questo approccio modulare permette non solo una maggiore affidabilità e capacità di debug, ma garantisce anche che solo l’agente pertinente e il contesto compattato e intelligente vengano chiamati in causa, riducendo drasticamente lo spreco di risorse.

Infine, la sostenibilità in produzione viene assicurata dalla piattaforma Vertex AI Agent Engine. Questo runtime completamente gestito non è solo un ambiente di deployment, ma una cabina di pilotaggio che offre osservabilità completa. Esso traccia in modo trasparente l’utilizzo delle risorse di calcolo e l’uso del modello (token di input e output), permettendo agli sviluppatori di monitorare costantemente i costi e le performance. Questo livello di controllo include persino meccanismi di sicurezza come i circuit breaker, che possono essere attivati per disattivare strumenti potenzialmente pericolosi o eccessivamente costosi, garantendo che l’agente rimanga entro i limiti del budget e delle politiche aziendali.

Il nuovo framework di Google segna il passaggio dall’IA come esperimento costoso all’IA come applicazione aziendale affidabile e scalabile. Non si tratta di dare agli agenti una memoria illimitata, ma di fornire loro la disciplina e l’architettura per gestire un budget limitato, trasformando l’intelligenza artificiale autonoma da un lusso teorico a una realtà operativa e finanziariamente sensata.

Di Fantasy