In un mondo in cui l’intelligenza artificiale (IA) non è più una promessa vaga, ma una presenza concreta dentro aziende, processi, prodotti, il modo in cui valutiamo il ritorno sugli investimenti (ROI) sta incontrando limiti evidenti. Un recente intervento di Vikas Behrani, vicepresidente del dipartimento AI e Innovation Lab di Genpact, durante Cypher 2025, la grande conferenza indiana sull’IA, mette in luce che i criteri tradizionali del ROI — quelli che cercano costi prevedibili, guadagni immediati, e metriche chiaramente misurabili — non sono adeguati per misurare il valore reale che l’IA può portare.
Behrani ribadisce che l’IA è qualcosa di profondamente fluido. Non è un software che installi, fai partire, controlli e metti da parte: evolve continuamente, richiede adattamenti, correzioni, può cambiare le condizioni del mercato e le aspettative dei clienti. Ci sono ritorni economici visibili: automazione, riduzione dei costi operativi, miglioramento di efficienza. Ma molti dei benefici sono invisibili a breve termine, o addirittura “nascosti” dentro i processi, nella cultura aziendale, nella capacità innovativa futura.
Pensiamo per esempio alla capacità di rispondere in modo più rapido ai cambiamenti del mercato, o al fatto che un sistema IA possa portare miglioramenti nell’esperienza cliente che non si traduce subito in maggiori vendite ma in fidelizzazione, minor churn, reputazione. Tutte cose che non si vedono bene sulla contabilità mensile, ma che potrebbero fare la differenza negli anni a venire. Ecco: i modelli ROI tradizionali — che spesso partono da costi chiari, benefici misurabili in breve tempo — rischiano di ignorare questi aspetti e quindi di sottostimare il valore, oppure addirittura di bocciare progetti IA che invece potrebbero essere fondamentali nel lungo termine.
Uno degli ostacoli principali è che molte metriche di ROI si basano su output prevedibili, processi lineari, tempi certi. Ma l’IA non funziona così. Richiede sperimentazione, iterazioni, fallimenti, feedback continuo. Le condizioni cambiano: nuovi dati, nuovi bisogni, normative, concorrenza. Un progetto IA può necessitare mesi (o più) perché inizi a restituire valore visibile, ma nel frattempo richiede risorse, competenze, infrastrutture, gestione del cambiamento.
Un altro elemento spesso trascurato è il costo “nascosto”: manutenzione, aggiornamenti del modello, gestione degli errori, bias, sicurezza, infrastruttura dati e pipeline. Sono tutte cose che non emergono sempre immediatamente, ma che incidono parecchio. E sul lato dei benefici, quelli tangibili (risparmio, automazione) sono spesso solo la punta dell’iceberg rispetto ai benefici intangibili: innovazione, agilità, miglioramento dell’esperienza utenti, capacità di adattarsi a scenari imprevisti. Behrani suggerisce che le organizzazioni devono imparare non solo a misurare, ma a ricalcolare continuamente che cosa significa “valore” per i loro investimenti in IA.
Se i modelli tradizionali non bastano, che fare? Behrani e altri esperti propongono uno spostamento di paradigma, che richiede:
- di accettare che parte del valore appare solo nel medio-lungo termine e che ci sarà un periodo di adattamento e sperimentazione;
- di includere nei modelli di ROI metriche che riflettono benefici intangibili: velocità di reazione al mercato, soddisfazione del cliente, reputazione, resilienza alle variazioni esterne, capacità di innovare;
- di costruire sistemi di misurazione dinamici, che permettano di aggiustare le previsioni di valore man mano che il progetto progredisce e si raccolgono dati reali;
- di considerare i costi nascosti come parte integrante del calcolo: non solo quanto costa avviare il progetto, ma il mantenimento, l’aggiornamento, il rischio, la governance, la formazione del personale.
Restare ancorati ai modelli ROI tradizionali rischia di far passare sotto silenzio investimenti che potrebbero essere strategici, ma che non “rendono subito”. Potremmo assistere a:
- scelte conservative che privilegiano solo progetti IA con ritorni rapidi ma poco differenzianti;
- rallentamento dell’innovazione perché viene scartata buona parte del potenziale valore non immediato;
- investimenti fatti in IA “di nicchia” o superficiali, che non cambiano davvero il modo di operare dell’azienda o il suo vantaggio competitivo.
L’AI non è un rivestimento tecnologico su un motore già esistente: è qualcosa che può ridefinire il motore stesso. E per questo valutare il suo ritorno richiede occhi che guardano non solo ai numeri immediati, ma al disegno complessivo: come cambia il modo di lavorare, come cambia lo spazio competitivo, quanto diventa possibile innovare, quanto l’azienda diviene resiliente, capace di rispondere al nuovo. Cambiare il modo di misurare il ROI non è solo utile, è necessario: per non sprecare risorse, per non rimanere indietro, per evitare che l’IA resti un progetto marginale invece che diventare parte integrante della strategia. Le risorse spese oggi per costruire modelli migliori di ROI potrebbero essere quelle che permetteranno di distinguersi domani.