L’onda d’urto dell’Intelligenza Artificiale Generativa, scatenata da modelli linguistici di vasta scala come GPT-4, non si è limitata a influenzare i processi creativi o accademici, ma ha travolto la struttura portante del web stesso. Siamo di fronte a un momento storico in cui la bilancia della produzione di contenuti su internet sta pendendo decisamente a favore dell’algoritmo: secondo stime recenti, entro il 2025, più della metà del testo in lingua inglese presente sulla rete globale è stato o sarà generato da un’Intelligenza Artificiale.
Questa cifra, che a prima vista può apparire iperbolica, descrive una realtà che sta mutando a velocità vertiginosa. Non si tratta di romanzi o poesie scritte da robot – sebbene anche questo sia un fenomeno in crescita – quanto piuttosto della produzione di contenuti a basso valore aggiunto, massivi e industriali. Gran parte di questo diluvio digitale è costituito da articoli ottimizzati per i motori di ricerca (SEO spam), schede prodotto automatiche per l’e-commerce, riassunti seriali, recensioni false e, in generale, testo pensato per occupare spazio e catturare l’attenzione algoritmica, più che umana.
La spinta a questa invasione algoritmica è essenzialmente economica e di efficienza. Per i gestori di siti web e le aziende che puntano sul traffico organico, l’IA è la macchina perfetta per produrre in poche ore ciò che un copywriter umano impiegherebbe settimane a scrivere. Il risultato è un’esplosione di pagine che, pur essendo tecnicamente corrette e ottimizzate per il ranking di Google, mancano di profondità, prospettiva e, soprattutto, autenticità umana.
Il costo di questa massificazione, tuttavia, è spaventoso. L’Internet, che un tempo era percepito come un vasto archivio di conoscenza e creatività umana, rischia di trasformarsi in una biblioteca vastissima ma piena di fotocopie di bassa qualità. Diventa sempre più difficile, anche per i motori di ricerca stessi, distinguere il segnale dal rumore di fondo. L’utente, navigando, si trova costretto a setacciare una quantità crescente di testo generato e riproposto, spesso superficiale o ridondante, in quella che alcuni analisti hanno definito l’Enshittification (la degradazione) del web.
La conseguenza più grave di questa saturazione non riguarda solo la frustrazione dell’utente, ma minaccia l’Intelligenza Artificiale stessa. Il paradosso si chiama Model Collapse (o collasso del modello), un concetto che preoccupa gli scienziati dei dati. Funziona così: i modelli di IA di prossima generazione vengono addestrati sui dati che trovano in rete. Se oltre la metà di quel corpus è già costituito da testo prodotto da IA di qualità inferiore, i modelli futuri finiranno per imparare dai propri errori e dalle proprie allucinazioni.
Immaginiamo una catena alimentare in cui i predatori mangiano esclusivamente altri predatori malnutriti: la qualità complessiva e la varietà della specie degenerano rapidamente. Allo stesso modo, l’IA futura, addestrata su dati sintetici e non su testo umano originale, tenderà a produrre risultati sempre più scadenti, diluiti e privi di un vero aggancio con la realtà. Si innesca un circolo vizioso in cui l’Intelligenza Artificiale si nutre di sé stessa, generando un Internet autoreferenziale e scollegato dalla conoscenza autentica, rendendo i futuri Large Language Models progressivamente meno utili e più propensi a inventare informazioni (hallucinations).
Di fronte a questa silenziosa colonizzazione del web da parte degli algoritmi, si rende necessario un cambio di prospettiva radicale. La sfida per gli utenti, ma soprattutto per i creatori di contenuti e per le piattaforme, è ora quella di ridefinire e valorizzare l’autenticità umana.
Il valore di un testo non risiederà più nella sua mera disponibilità o ottimizzazione, ma nella sua originalità, nel suo insight unico e nella sua verificabile paternità umana. L’esperienza, il giudizio critico, l’emozione e l’unicità dello stile – tutti elementi che l’IA fatica ancora a replicare con vera convinzione – diventeranno la vera moneta di scambio in un Internet saturo di automatismo.
In un web dove la maggior parte delle parole è generata dal codice, la ricerca della voce umana diventa un atto di resistenza culturale. La speranza è che questa saturazione spinga le piattaforme a sviluppare filtri migliori e, soprattutto, costringa i creatori a concentrarsi su contenuti che solo la mente, l’esperienza e l’impegno di un essere umano possono produrre. Solo così potremo evitare che l’Internet diventi un deserto di testo perfetto ma senz’anima, destinato a collassare su sé stesso.
