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Il punto di partenza è una dichiarazione che suona come un cambio di passo: entro la fine dell’anno, GoDaddy vuole che circa il settanta per cento del proprio codice sia generato da sistemi di intelligenza artificiale. A dirlo è l’amministratore delegato Aman Bhutani, in un’intervista tv in cui riconduce l’intera trasformazione dell’azienda all’adozione spinta di strumenti di IA generativa, con la naturalezza di chi considera ormai inevitabile valorizzare macchine capaci di assistere – e spesso anticipare – il lavoro degli sviluppatori. Il messaggio è semplice e, proprio per questo, potente: l’IA non è un accessorio, ma il nuovo banco di montaggio del software.

Attorno a quell’obiettivo percentuale si disegna una traiettoria industriale che ha già iniziato a far sentire i propri effetti sul mercato. Nelle ultime giornate di ottobre, la società ha rivisto al rialzo le previsioni di ricavi per il 2025, motivando l’aggiornamento con la domanda sostenuta di funzionalità alimentate dall’IA nei servizi di hosting e presenza online. È un passaggio che consolida l’idea di un circolo virtuoso: più automazione nel ciclo di sviluppo e di delivery, più rapidità nel portare in produzione nuove capacità, più valore percepito dagli utenti finali – e quindi più crescita.

Per comprendere come un gruppo nato come registrar di domini sia arrivato a parlare di “codice generato dall’IA” occorre ripercorrere la sua evoluzione recente. Da tempo GoDaddy lavora su Airo, un’esperienza che promette a micro e piccole imprese di costruire una presenza online in pochi minuti, generando pagine, testi, loghi, annunci e campagne e-mail quasi come se si stesse raccontando l’idea a un collaboratore creativo instancabile. È in questa officina che l’azienda ha imparato a mettere in fila modelli, dati e interfacce capaci di abbassare le barriere d’ingresso all’imprenditoria digitale; oggi quello stesso approccio “assistivo” rientra in fabbrica, a monte, per accelerare la vita dei propri team tecnici.

Il cuore del discorso, però, non è soltanto la produttività interna. Quando Bhutani parla di “trasformazione IA”, il sottotesto è un ripensamento dell’esperienza cliente che deve essere più coerente, più cucita addosso e, soprattutto, più veloce nel portare risultati misurabili: traffico migliore, conversioni più stabili, gestione più semplice di dominio, DNS, storefront e contenuti. Negli ultimi mesi la società ha spinto anche su personalizzazioni dello shop, trasferimenti di dominio semplificati e flussi di gestione più intuitivi, iniziative che si incastrano con la visione di un “negozio intelligente” dove gli agenti software suggeriscono e talvolta eseguono direttamente operazioni che un tempo richiedevano competenze specialistiche.

È interessante osservare come l’idea di “automazione del codice” non venga presentata come una resa del lavoro umano, ma come un modo per liberare tempo e attenzione là dove contano la qualità delle scelte architetturali e la cura dell’esperienza. Nel racconto dell’azienda, l’IA si fa apprendista instancabile che macina boilerplate e test, che propone refactor e patch, che suggerisce integrazioni e pattern, mentre gli ingegneri spostano l’ago verso problemi più sottili: affidabilità, sicurezza, osservabilità, scalabilità. La promessa implicita è quella di ridurre gli attriti che si annidano tra concezione e rilascio, tra prototipo e prodotto, allineando la cadenza dei rilasci con la velocità con cui cambiano i bisogni degli utenti.

C’è, naturalmente, una componente strategica che guarda oltre il perimetro di prodotto. Portare l’IA nel cuore dei processi di sviluppo significa anche dotarsi di un “metabolismo” diverso: pipeline che incorporano valutazioni di rischio, controlli di qualità più serrati, criteri di explainability sufficienti a non trasformare l’automazione in una scatola nera. È un equilibrio delicato: se da un lato la spinta è verso il “più veloce e più spesso”, dall’altro la continuità operativa dei servizi di milioni di clienti impone disciplina. La revisione della guidance per il 2025, sostenuta proprio dall’adozione di funzionalità IA, indica che la dirigenza vede in questa disciplina un vantaggio competitivo, non un freno.

Il fatto che la comunicazione arrivi in un momento di buona attenzione da parte degli analisti rafforza l’impressione di una scommessa credibile. Nelle stesse ore in cui si parlava di codice generato dall’IA, diverse case d’investimento hanno aggiornato – talvolta confermato, talvolta rivisto – le proprie valutazioni sul titolo, inserendo la traiettoria IA tra i driver di medio periodo. Non è solo un segnale finanziario: è la lettura di un posizionamento che prova a uscire dalla guerra dei prezzi del puro hosting per approdare nel territorio, più difendibile, delle esperienze integrate e degli agenti “on demand” al servizio del business dei clienti.

In controluce, questa corsa racconta anche la trasformazione del lavoro creativo su web. Se una bottega digitale può contare su strumenti che propongono headline, immagini, schemi di pagina, copy e campagne, l’imprenditore torna al timone di ciò che ha sempre fatto la differenza: l’idea, il tono, la promessa di valore. È un paradosso solo apparente: più le macchine imparano a fare, più diventa preziosa la cura umana nel definire obiettivi, nell’editare, nel misurare, nel decidere quando seguire l’assistente e quando smentirlo. L’automazione del codice, vista da qui, è la parte sommersa di un iceberg che riguarda anche la scrittura, il marketing, la gestione operativa di un negozio online.

È legittimo chiedersi quanto sia realisticamente raggiungibile quel “settanta per cento” e con quali contromisure contro le derive note dei modelli generativi – allucinazioni, vulnerabilità introdotte da suggerimenti imperfetti, dipendenza da prompt e contesti non riproducibili. La risposta, oggi, è più un cantiere che un punto d’arrivo: affiancare agli agenti generativi un robusto sistema di verifiche automatiche, di scanning di sicurezza, di controllo versioni, di test e di rollback; progettare l’esperienza di sviluppo come una conversazione continua tra persone e modelli, con criteri chiari su cosa è “accettabile” affidare alla macchina e cosa no. È la stoffa invisibile che deciderà se l’entusiasmo per l’IA resterà un annuncio o diventerà un vantaggio sostenibile.

A valle, resta l’immagine più concreta: milioni di piccole attività che aprono o rinnovano la propria vetrina digitale con la sensazione di potersi concentrare sul mestiere, mentre l’infrastruttura suggerisce, compone, testa e pubblica. In questa immagine, l’automazione del codice e l’automazione della presenza online coincidono: due facce della stessa ambizione, quella di rendere più breve e affidabile la distanza tra un’idea e la sua forma sul web. È lì che GoDaddy si gioca la sua trasformazione, nella promessa – misurabile – di togliere attrito senza togliere controllo. Se la crescita attesa per il 2025 troverà conferma, lo si vedrà soprattutto nella qualità di questa promessa mantenuta, più che nei numeri di un singolo trimestre.

Di Fantasy