Nasce con un’ambizione esplicita: dare alla Spagna (e per estensione all’Europa) un cervello digitale capace di pensare, decidere e anticipare in contesti critici. IndraMind è stata presentata come la prima iniziativa tecnologica spagnola per sviluppare un’intelligenza artificiale davvero sovrana, progettata all’interno di un ambiente cyber-resiliente e orientata alla protezione di cittadini, territori e infrastrutture fisiche e digitali. Il tono è quello dei grandi annunci industriali, ma il punto è chiaro: riportare in casa dati, algoritmi e architetture, per trasformare la sovranità tecnologica da slogan a capacità operativa.
Nelle parole della leadership del gruppo, il progetto suona come una risposta a un “nuovo scenario”. Ángel Escribano, presidente esecutivo di Indra, lo definisce il passo decisivo per promuovere la sovranità tecnologica in Spagna e in Europa, mentre il CEO José Vicente de los Mozos lo colloca dentro tre direttrici che negli ultimi mesi hanno ridefinito il mercato della sicurezza e della difesa: superiorità cognitiva, operazioni autonome e cyber-resilienza. Al centro, l’idea che l’AI non sia un componente accessorio ma il motore di piattaforme, sensori e reti che devono cooperare e, quando serve, agire senza esitazioni.
Il direttore di IndraMind, Ignacio Martínez, sceglie un’immagine che riassume bene l’ambizione: “un cervello digitale” che consente ai sistemi di pensare, decidere e anticipare, ma anche di accelerare l’esecuzione. In pratica, un’intelligenza distribuita in grado di apprendere e adattarsi in tempo reale, orchestrando agenti eterogenei come droni e sistemi autonomi, ottimizzando il processo decisionale e, soprattutto, comprimendo il tempo tra rilevamento della minaccia e risposta. È qui che l’enfasi sulla velocità diventa sostanza: in missioni critiche, l’AI non può essere un filtro post-hoc; deve essere l’interfaccia viva tra il mare di dati e la manovra.
Il contesto, del resto, è quello che più di ogni altro giustifica un progetto “sovrano”. La sicurezza nazionale non è più un mosaico di comparti stagni: un attacco può colpire in parallelo cyberspazio, infrastrutture critiche e servizi pubblici, sfumando i confini tra difesa militare e sicurezza civile. In questo quadro di rischi ibridi – che accelerano, si moltiplicano e si sovrappongono – IndraMind promette una risposta coordinata e unitaria, con applicazioni che spaziano dalla sorveglianza delle frontiere alla gestione delle emergenze, fino alla protezione di asset strategici contro aggressioni fisiche e digitali. La chiave rimane nella parola “sovranità”: controllo su dati, modelli, software e infrastrutture, per ridurre dipendenze e vincoli esterni proprio lì dove pesano di più.
Se si guarda dentro la cassetta degli attrezzi, IndraMind non nasce dal nulla ma stratifica più di vent’anni di lavoro in domini contigui: cyber e difesa cibernetica, guerra elettronica, intelligenza artificiale, piattaforme autonome nel doppio versante droni/anti-droni, gestione di dati massivi, sistemi di comando e controllo. L’integrazione lungo l’intera catena del valore viene presentata come il punto di differenza rispetto a un mercato affollato da componenti specialistiche: qui l’obiettivo è saldare sensori, connettività, analitiche e decisione in prodotti proprietari di nuova generazione. È un posizionamento industriale, ma anche culturale: l’AI come architettura di sistema, non come plug-in.
Nel racconto di Indra, il progetto parla tanto all’Europa quanto alla Spagna. Il richiamo è ai piani di modernizzazione spinti dai fondi comunitari e dalle politiche nazionali in materia di sicurezza e difesa, in cui l’autonomia strategica passa anche per soluzioni “duali” capaci di garantire deterrenza e vantaggio operativo, ma allo stesso tempo scalabili su scenari civili. È qui che la sovranità diventa un tema di filiera: non solo microchip o cloud, ma l’intero stack di tecnologie, governance dei dati e capacità decisionali.
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Sul piano industriale, IndraMind parte con numeri già significativi: oltre 300 milioni di euro di fatturato e circa 3.000 professionisti, a testimonianza di una struttura che nasce con basi operative, commerciali e di talento già in essere. È un’indicazione importante, perché colloca l’iniziativa nella fascia di chi può incidere davvero sulla mappa europea dell’AI applicata ai sistemi critici, dove la scalabilità è tanto una questione di codice quanto di supply chain, certificazioni e integrazione multi-dominio.
Per comprendere lo sfondo, vale la pena ricordare la dimensione del gruppo alle spalle del progetto. IndraMind è presentata come iniziativa del Gruppo Indra, una holding che comprende la storica Indra, attiva a livello mondiale in difesa, gestione del traffico aereo e spazio, e Minsait, focalizzata sulla trasformazione digitale in Spagna e America Latina. Nel 2024 il gruppo ha registrato 4,843 miliardi di euro di ricavi, con presenza locale in 49 Paesi e attività commerciali in oltre 140: numeri che danno la misura di un ecosistema capace di sostenere nel tempo investimenti in piattaforme complesse e programmi a lunga maturazione.
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Tutto questo, naturalmente, apre un capitolo impegnativo sul piano etico e politico. Parlare di “intelligenza sovrana” significa parlare di controllo e responsabilità: chi decide i limiti operativi degli agenti autonomi, chi definisce i dataset e le metriche di affidabilità, come si certificano i comportamenti in condizioni estreme e, soprattutto, come si mantiene allineata la traiettoria tecnologica con i principi dello Stato di diritto. È un equilibrio delicato, ma non eludibile: se l’AI entra nel cuore delle infrastrutture vitali, deve essere auditabile, robusta, spiegabile quanto basta per costruire fiducia negli operatori e nelle istituzioni. IndraMind, in questo senso, incarna il tentativo di conciliare l’imperativo della velocità con la disciplina della governance, riconoscendo che la superiorità strategica non si misura solo in millisecondi ma nella capacità di reggere nel tempo a shock, attacchi, errori.
C’è poi un risvolto culturale che attraversa l’intero progetto: l’idea che la sovranità non sia un recinto isolazionista, bensì la facoltà di scegliere con chi e come interconnettersi senza dipendenze strutturali. Parlare di “sovranità dei dati e degli algoritmi” significa anche poter costruire ponti sicuri verso partner e alleati, conservando però la possibilità di scollegarsi, aggiornare, migrare, revisionare modelli e pipeline senza chiedere permessi. È qui che il tema europeo trova il suo senso: non un’AI contro qualcun altro, ma un’AI capace di parlare la lingua regolatoria e valoriale del continente, prendendo sul serio resilienza, trasparenza, riduzione del rischio.
