C’è un cambiamento che oggi passa all’apparenza inosservato, ma che potrebbe ridefinire come le aziende useranno l’intelligenza artificiale: Slack ha annunciato una piattaforma che consente agli sviluppatori di accedere, in maniera controllata e con permessi, alle conversazioni aziendali – messaggi, file, thread – per “nutrire” agenti AI con un contesto reale e specifico. Con questa mossa, Slack non vuole soltanto offrire funzioni AI interne, ma diventare il livello infrastrutturale su cui agenti intelligenti esterni possano operare.
Fino ad ora, molte applicazioni AI nella produttività aziendale erano isolate: modulini che rispondono a prompt, tool che generano testi, assistenti che si vedono poco e non conoscono il contesto pieno. Slack punta a un approccio diverso: far sì che l’IA possa attingere direttamente alle conversazioni — lì dove gli scambi, le decisioni, le idee nascono giorno dopo giorno — e usarle per dare risposte e compiere azioni che abbiano senso nel flusso reale del lavoro.
La novità tecnica consiste soprattutto in due elementi: una API di ricerca in tempo reale e un Model Context Protocol server. La prima consente alle applicazioni AI autorizzate di interrogare messaggi, canali, file e persino elementi delle funzionalità collaborazione interna — come le Canvas e le Lists — restituendo informazioni rilevanti in base a parole chiave o prompt in linguaggio naturale. Così l’IA non deve copiare dati fuori da Slack, ma accedervi on demand rispettando i permessi.
Il Model Context Protocol (ispirato a standard aperti come quelli sviluppati da Anthropic) stabilisce come i modelli e gli agenti “scoprano” compiti dentro Slack, come interagiscano, come comprendano il contesto conversazionale e come eseguano azioni integrate. L’obiettivo è semplificare l’integrazione di agenti IA attraverso varie piattaforme aziendali, con modalità standardizzate.
Questa strategia non è priva di rischi: il nocciolo della questione è la sicurezza e la privacy dei dati aziendali. Slack afferma che l’accesso avviene “a nome dell’utente”: quando un agente richiama informazioni da Slack, lo fa con le credenziali dell’utente che ha autorizzato l’accesso, e potrà vedere solo ciò che l’utente stesso ha il diritto di vedere (messaggi diretti, canali privati, canali pubblici permessi). In più, Slack ha proibito contrattualmente che le risposte derivanti dall’API vengano usate per addestrare modelli esterni, per limitare il rischio che dati sensibili finiscano in training di sistemi di terze parti.
Ma cosa cambia concretamente nell’esperienza quotidiana? Immagina di scrivere in Slack una domanda vaga come “Qual è lo stato del progetto X?” oppure “Ci serve il budget per marketing questo mese”, e vedere un agente AI rispondere attingendo alle chat, alle note, ai documenti caricati, senza che tu debba andare a cercare su Drive, su mail o in altri sistemi. L’IA non agirebbe come un assistente separato, ma come un “collega digitale” presente nella conversazione.
Questa mossa, ovviamente, è anche una risposta strategica per il confronto con Microsoft Teams e le sue feature AI. Mentre Teams imbocca la strada di estendere funzionalità integrate (Copilot, embedding nei software Office), Slack punta a diventare la piattaforma di riferimento dove gli agenti AI trovano “casa” e accedono al contesto di lavoro reale.