In un’epoca dominata dal digitale, dove tutto sembra possibile e virtualmente raggiungibile con un clic, quello dei colloqui di lavoro è diventato un altro terreno di scontro tra verità e inganno. Lo racconta QuiFinanza, che il 15 agosto 2025 ha evidenziato un fenomeno sorprendente: aziende come Google, Cisco e McKinsey stanno ripensando i processi di selezione e tornando, soprattutto nelle fasi decisive, ai colloqui in presenza per contrastare i rischi legati all’uso improprio dell’intelligenza artificiale (IA).
Chi ha seguito le evoluzioni del recruitment negli ultimi anni difficilmente non ha notato il predominio dei colloqui virtuali: hanno accelerato i tempi, hanno semplificato la logistica, hanno abbattuto le distanze. Ma come la stessa tecnologia può rendere tutto più efficiente, può diventare terreno fertile per inganni. Secondo QuiFinanza, molti candidati sfruttano l’IA per generare risposte perfette, ma spesso privacy e autenticità ne escono compromesse.
Ecco perché alcune delle aziende più solide riaffermano il valore del colloquio in presenza: non è solo un ritorno al passato per sentimentalismo, ma una scelta strategica per valutare non solo le competenze tecniche, ma anche la persona.
Le ragioni di questo ripensamento sono concrete e preoccupanti. L’FBI ha intercettato truffatori — come alcuni cittadini nordcoreani — che si fingevano candidati per ottenere lavoro da remoto, sfruttando l’identità falsa per ottenere vantaggi illeciti. Ma i pericoli non si fermano qui: con deepfake sempre più realistici, sottili ma perfetti, diventa difficile distinguere un vero candidato da una replica ingannevole.
Secondo i dati raccolti, il 6% dei candidati ha ammesso di aver partecipato a frodi nei colloqui, come farsi sostituire o fingere qualifiche inesistenti. E la proiezione per il futuro è inquietante: entro il 2028, un profilo su quattro potrebbe essere falso.
Per difendersi da questo scenario mutevole, molte aziende optano per un approccio ibrido. Le prime fasi di screening possono restare online, snellite e rapide, ma quelle decisive si tornano a svolgere in sede. È un equilibrio intelligente tra efficienza tecnologica e verifica diretta, tra flessibilità e prudenza.
In un mondo affamato di automazione, la scelta di riconquistare uno spazio per l’incontro umano risuona oggi come un atto di fiducia—ma anche di responsabilità.
Questo cambiamento nel recruiting illumina due verità:
- La tecnologia può elevare i processi, ma se non governata può minare la fiducia stessa che li fonda.
- L’incontro umano rimane insostituibile: occhi negli occhi si vede la persona, non solo il profilo perfetto.
Il ritorno ai colloqui in sede è un segnale: siamo alla ricerca di autenticità, non solo di risposte formali o algoritmiche. Per quanto l’IA possa affinare strumenti e processi, non sostituisce il potere della relazione umana—del kalòs e del prāgma, direbbe qualcuno.