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Nel mondo sempre più interconnesso in cui viviamo, la tecnologia fa un passo avanti nel campo della giustizia. Secondo un’indagine del Corriere della Sera, l’intelligenza artificiale sta iniziando a farsi strada non solo nei laboratori, ma anche nelle aule dei tribunali, nelle strade, e dentro le mura delle carceri. Le potenzialità — e i dilemmi etici che portano con sé — stanno accelerando, e alcune nazioni come Regno Unito, Cina e Germania mostrano già visioni concrete e ambiziose.

In Gran Bretagna, il ministero della Giustizia ha coinvolto le principali aziende hi-tech — da Google ad Amazon, Microsoft fino a IBM — per proporre tecnologie rivoluzionarie: dispositivi indossabili per le forze dell’ordine, microchips sottocutanei per il monitoraggio dei detenuti, robot per il trasferimento dei carcerati e sistemi di geolocalizzazione. Secondo fonti governative, l’adozione del riconoscimento facciale da parte delle forze dell’ordine potrebbe ridurre di circa 10.000 unità il sovraffollamento carcerario, grazie a una maggiore precisione nella gestione preventiva dei soggetti a rischio.

In Cina, la tecnologia sta ridefinendo completamente l’esperienza giudiziaria. A Shanghai, un vero e proprio “giudice robot” è stato messo a punto utilizzando dati provenienti da oltre 17.000 casi, e garantisce una precisione del 97% nell’emissione delle sentenze per reati come frodi con carte, lesioni e gioco d’azzardo. A Hangzhou, il “tribunale digitale” utilizza “giudici olografici”: assistono alle udienze, pongono domande, raccolgono prove e rendono sentenze — tutto in forma completamente automatizzata.

Anche in Germania l’IA sta assumendo un ruolo sempre più attivo nella prevenzione dei crimini. Attraverso modelli predittivi, sistemi digitali in uso presso le forze dell’ordine elaborano dati storici per individuare aree di rischio e precocemente profilare potenziali reati. Questo approccio, noto come polizia predittiva, sta ampliando significativamente il raggio d’azione della sicurezza pubblica.

Il concetto di “carceri intelligenti” prende forma grazie a reti di sensori, telecamere a riconoscimento facciale e monitoraggio continuo dei detenuti. In alcune strutture ad alta sicurezza in Cina, questi sistemi gestiscono fino a 200 volti contemporaneamente e monitorano perfino il modo di camminare per prevenire violenze, autolesionismo o il contrabbando interno. Un passo verso la realtà virtuale: alcune proposte avanzano l’idea delle “prigioni virtuali”, in cui la detenzione potrebbe svolgersi in ambienti digitali — aprendo un nuovo capitolo della giustizia penale.

Di Fantasy