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In un’era in cui l’intelligenza artificiale consuma parole, immagini, articoli e conoscenza come vero combustibile, ci si chiede: chi paga chi? Fino a poco fa, molte aziende AI attingevano a contenuti creati da editori — giornali, riviste, blog — senza che gli autori venissero adeguatamente compensati. Microsoft sembra voler cambiare registro, annunciando l’intenzione di costruire una piattaforma che pagherà gli editori in base all’effettivo utilizzo dei loro contenuti da parte dell’IA. È un passo audace — e rischioso — in un territorio che finora è stato dominato da trattative private, cause legali e pratiche poco trasparenti.

Il progetto si chiama Publisher Content Marketplace (PCM), e secondo il report di Axios è già in fase di pianificazione e visione interna. Microsoft lo ha presentato a un summit riservato ai suoi partner a Monaco, dove avrebbe discusso con editori selezionati le regole del gioco — tariffe, politiche, metriche di misurazione. L’intento è di partire con Copilot, il suo assistente AI, e successivamente estendere l’uso di PCM ad altre applicazioni AI sviluppate da Microsoft e potenzialmente anche da terzi.

È la prima volta che un colosso tech si propone di costruire qualcosa del genere su larga scala. In passato, molte aziende hanno siglato accordi anticipati con editori per garantire l’accesso ai loro contenuti. PCM, invece, adotta un modello “pay-per-uso”: gli editori verrebbero ricompensati solo quando i loro contenuti vengono effettivamente citati, elaborati o consumati dai sistemi AI. Questa distinzione è importante: introduce una relazione più equilibrata tra chi fornisce il contenuto e chi lo utilizza, anziché un accordo fisso indipendente dall’uso reale.

Oggi, la maggior parte delle grandi aziende AI tratta con editori mediante licenze generali, pagamenti anticipati o contratti volumetrici: “ti do una somma in cambio dell’accesso ai tuoi archivi per un periodo X”. Non sempre tali accordi prevedono che il pagamento venga commisurato all’uso reale dei contenuti, né che gli editori possano monitorare come, quando e quanto vengono utilizzati. PCM vuole rompere questo paradigma offrendo una piattaforma dinamica dove l’editore “vende” contenuto, e chi sviluppa l’IA lo “compra” (o remunera) in base all’adozione.

Ci sono già segnali che Microsoft stia costruendo le basi per questa trasformazione. Da una slide mostrata nel summit riservato era presente la frase chiave: “La vostra proprietà intellettuale merita un equo compenso in base alla sua qualità”. È un messaggio forte, che si contrappone alle pratiche poco trasparenti denunciate da molti editori nei confronti delle grandi AI.

Ma la trasformazione non sarà istantanea. PCM inizierà con un programma pilota con pochi editori — Reuters, Axel Springer, USA Today Network e il Financial Times sono già citati come possibili partner. In questa fase iniziale, Microsoft e gli editori lavoreranno fianco a fianco per definire metriche, strumenti di misurazione, dashboard e modalità di fatturazione. Solo una volta che il modello si sarà affinato, PCM potrà essere proposto ad un ecosistema più vasto.

Anche l’idea più bella si infrange contro ostacoli concreti. Innanzitutto, misurare l’“uso” di un contenuto non è banale: cosa significa “usato”? Se un modello riassume un articolo, lo cita parzialmente o lo genera come base di una risposta, tutto può essere interpretato come un “uso”. Stabilire metriche chiare, trasparenti e condivise è cruciale, altrimenti il mercato rischia di essere contestato o manipolato.

Poi c’è la questione della trasparenza: gli editori vorranno poter vedere quando i propri contenuti vengono utilizzati, da quale modello, con quale frequenza e in che contesto. Se il sistema è opaco, rischia di generare diffidenza. Microsoft dovrà garantire report, log e audit facilmente interpretabili.

Un’altra sfida è l’equilibrio finanziario: se il sistema di compensazione è troppo generoso, l’azienda che usa l’AI rischia di trovarsi con un costo insostenibile; se è troppo parsimonioso, gli editori non avranno incentivi ad aderire. È un punto di equilibrio delicato da trovare, specie in un mercato in divenire.

Non da ultimo, Microsoft stessa non è estranea a contenziosi sul copyright: lo scorso anno il New York Times ha citato Microsoft e OpenAI per uso non autorizzato dei suoi contenuti nell’addestramento dei modelli. PCM può essere letto anche come una strategia per prevenire futuri conflitti, instaurando un sistema più cooperativo anziché litigioso.

Se PCM dovesse effettivamente decollare, il panorama dell’IA potrebbe trasformarsi. Gli editori non sarebbero più vittime delle piattaforme, bensì partner consapevoli del valore che generano. Il “sapere” accumulato dalle testate e dalle produzioni culturali verrebbe retribuito in modo proporzionale alla sua effettiva utilità per i sistemi intelligenti.

Per gli utilizzatori dell’IA — aziende, sviluppatori, startup — sarebbe un incentivo a prediligere fonti con licenza chiara, a costruire modelli che rispettino il diritto d’autore e a guardare con più cautela pratiche di scraping indiscriminato. Nel lungo termine, si potrebbe vedere un’“economia dei dati” più matura, dove il contenuto originale è stimato non solo per la sua capacità di attrarre click, ma per il suo valore rappresentativo, informativo e formativo nell’AI.

Naturalmente, se Microsoft riuscirà a incidere davvero con PCM, altri big come Google, Meta o OpenAI potrebbero sentirsi spinti a rispondere con modelli analoghi o concorrenziali. Il mercato del contenuto AI potrebbe diventare un’arena strategica, non solo tecnologica ma anche finanziaria e legale.

Di Fantasy