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In un laboratorio all’avanguardia, tra tubi di vetro, sequenze genetiche e modelli matematici, prende forma un’idea che sembrava appartenere alla fantascienza: usare l’intelligenza artificiale non solo per studiare i microbi, ma per progettare virus che possano attaccare i batteri più resistenti agli antibiotici. È quanto emerge da una ricerca condotta da ricercatori della Stanford University, che hanno impiegato algoritmi avanzati per generare nuovi genomi di batteriofagi — virus specializzati nell’infettare e distruggere batteri — con l’obiettivo di contrastare la minaccia crescente della resistenza agli antibiotici.

Il progetto è audace. I ricercatori hanno raccolto una mole vastissima di dati: milioni di sequenze virali, informazioni su come i batteri si difendono, su come mutano, su quali geni regolano la replicazione e su come il virus può riconoscere i bersagli. A partire da questo mare di informazioni, l’algoritmo ha «sognato» nuovi genomi: strutture virali simili a quelle naturali, ma mutate, ottimizzate, potenziate. Tra le centinaia di varianti generate, alcune hanno mostrato capacità reali di infettare ceppi di Escherichia coli resistenti, in laboratorio, e di ucciderli, proponendosi come possibile strumento terapeutico.

Si è iniziato da un modello relativamente semplice, il batteriofago ΦX174, scelto per la sua facilità di studio e per il fatto che già in natura riesce a colpire E. coli. Ma il salto sta nel creare — non solo modificare — genomi virali che non esistono in natura, e che possano avere proprietà desiderabili: selettività verso batteri resistenti, capacità di replicarsi all’interno del bersaglio, assenza di effetti collaterali verso le cellule umane. In questo modo, il virus non è un’arma indiscriminata, ma un attore mirato, un “proiettile intelligente” che colpisce dove serve senza danneggiare altrove.

Eppure, dietro l’entusiasmo scientifico, emergono domande e paure. Se l’IA può disegnare virus che agiscono in modi precisi, non è difficile immaginare scenari opposti: virus pericolosi, fuori controllo, destinati non ai batteri ma a organismi più complessi. La ricerca è stata caricata come preprint, non ancora passata attraverso revisione ufficiale, e i ricercatori hanno sottolineato di aver evitato di addestrare l’algoritmo con sequenze umane o virali patogene, per non promuovere usi impropri.

Il tema del “dual use” — ovvero la doppia possibilità di impiego tecnologico, benefico o dannoso — è centrale in questo dibattito. Ogni strumento potente può essere piegato al bene o al male. In medicina, la promessa è quella di superare i limiti degli antibiotici, di fronte ai quali i batteri stanno diventando troppo abili nel resistere e mutare. Ma accanto alla promessa corre la necessità urgente di regole, controlli, trasparenza, responsabilità. Le decisioni non possono restare nelle mani di algoritmi incontrollati: serve supervisione umana, valutazioni etiche, protocolli di sicurezza.

Se il virus progettato dall’IA dovesse fare il suo ingresso nella pratica clinica, cambierebbe radicalmente il volto della lotta agli “super-batteri”. Immagina ospedali in cui, al posto di antibiotici generici, si inietta un virus su misura per il ceppo infettivo presente, calibrato per attaccare solo quel batterio. Il rischio di resistenza diventerebbe più difficile, perché il virus potrebbe essere variato e aggiornato man mano che i batteri cambiano.

Di Fantasy