Immagine AI

La notizia è di quelle che scaldano l’immaginazione: un farmaco ideato con l’aiuto dell’intelligenza artificiale che, iniettato ogni pochi mesi, riattiva i follicoli “addormentati” e fa ricrescere i capelli. A raccontarlo, negli ultimi giorni, sono stati diversi media internazionali, che indicano in ABS-201 – un anticorpo sperimentale sviluppato dalla biotech statunitense Absci – il protagonista di una possibile svolta. L’immagine che rimbalza è potente: macachi con pattern di calvizie simile a quello umano che, sei mesi dopo il trattamento, tornano ad avere un manto completo. Ma, al di là del titolo, che cosa sappiamo davvero? E quanto siamo vicini a una terapia utilizzabile?

ABS-201 è un biologico pensato con un processo di “drug design” guidato da modelli generativi: invece di cercare a tentoni tra migliaia di sequenze, l’IA crea candidati anticorpali ottimizzati per legarsi con alta affinità a un bersaglio preciso, con profilo di sviluppo promettente e bassa immunogenicità attesa. Nella documentazione tecnica pubblica, Absci spiega di aver usato questa piattaforma per individuare rapidamente un anticorpo da portare in studi “IND-enabling” e di aver osservato, in modelli murini a breve termine, una ricrescita più rapida rispetto al minoxidil topico al 5% – con copertura totale del pelo in 22 giorni nel modello animale utilizzato. È la parte meno spettacolare e più sostanziale della storia: non magia, ma ingegneria delle sequenze proteiche, addestrata su grandi set di dati biologici e finalizzata a un’interazione altamente specifica con il recettore scelto.

Il tassello che ha acceso i riflettori, però, è il test preclinico sui primati. Secondo quanto riportato da testate divulgative, un ciclo di iniezioni avrebbe spinto i follicoli dei macachi fuori dalla fase di riposo e sul sentiero della ricrescita, fino alla completa copertura nell’arco di sei mesi. L’aspetto che colpisce non è solo l’esito, ma la logica d’azione dichiarata: non limitarsi a frenare la caduta, bensì “riaccendere” i follicoli e riportarli in fase anagen, il periodo di crescita attiva del capello. Se questo meccanismo fosse confermato nell’uomo, si tratterebbe di un approccio diverso e potenzialmente complementare rispetto ai trattamenti attuali, spesso focalizzati su ormoni e microcircolo. Ma è bene ripeterlo con chiarezza: per ora parliamo di dati preclinici e di promesse tutte da validare negli studi sull’uomo.

Il contesto aiuta a capire perché ABS-201 susciti tanto interesse. Da anni la ricerca sulla perdita di capelli procede su più binari: piccoli modelli molecolari, anticorpi e, più di recente, strategie che “risvegliano” i follicoli intervenendo sul metabolismo delle cellule staminali del bulbo. A inizio 2025, per esempio, un gruppo UCLA ha descritto una molecola, PP405, capace in laboratorio di inibire una proteina che mantiene quiescenti le cellule staminali follicolari, con primi segnali clinici preliminari su applicazioni topiche a breve termine. L’idea forte è la stessa: non solo frenare l’infiammazione o modulare la risposta ormonale, ma spingere i follicoli a ripartire. È un cambio di paradigma che, se tradotto in pratica clinica, potrebbe allargare notevolmente il ventaglio delle opzioni terapeutiche.

L’ondata “AI-designed” non riguarda soltanto Absci. Nelle stesse settimane, la taiwanese AnHorn ha comunicato di aver completato con esito positivo un fase I negli Stati Uniti per AH-001, un degrader proteico topico progettato con algoritmi di scoperta mirata contro l’alopecia androgenetica: in questa fase si misura soprattutto la sicurezza e la tollerabilità, e il segnale è stato considerato incoraggiante per passare ai test di efficacia. È un indizio che la pipeline “disegnata” dall’IA non è un caso isolato, ma una tendenza che inizia a uscire dai laboratori per farsi vedere nelle prime fasi cliniche.

Il punto, naturalmente, è la distanza tra promessa e disponibilità reale. Ad oggi, i trattamenti approvati e rimborsati per alcune forme di alopecia sono altri: nel Regno Unito, per esempio, il NICE ha raccomandato l’uso del ritlecitinib per l’alopecia areata severa, e negli Stati Uniti la FDA ha approvato già nel 2022 il baricitinib, un inibitore JAK, per la stessa indicazione. Sono condizioni diverse dall’alopecia androgenetica maschile e femminile che interessa la maggioranza, ma ricordano una verità semplice: la medicina si muove per step, e ogni nuova molecola deve superare il percorso, lungo e controllato, di sicurezza ed efficacia. ABS-201 dovrà farlo, esattamente come tutti gli altri.

C’è poi un aspetto pratico che merita attenzione: la somministrazione. Gli sviluppatori sottolineano il vantaggio potenziale degli iniettabili a lunga durata, perché riducono il problema dell’aderenza rispetto a lozioni e compresse quotidiane. La traiettoria degli ultimi anni – basti pensare alla normalizzazione sociale delle terapie iniettive per altre condizioni croniche – potrebbe favorire anche in tricologia l’arrivo di biologici a intervalli estesi, a patto però di dimostrare un profilo rischio/beneficio davvero superiore alle alternative. Qui si gioca una parte della “promessa”; qui, più che altrove, i numeri clinici faranno la differenza.

Non bisogna infine mitizzare l’IA. La sua forza, nel drug design, è accorciare tempi e ampliare l’esplorazione di spazio chimico e biologico; la sua debolezza, se isolata, è l’illusione che basti un modello a consegnare una cura. Tra un anticorpo “proposto” dall’algoritmo e un farmaco in ambulatorio c’è di mezzo l’ingegnerizzazione di processo, la produzione a qualità farmaceutica, la farmacocinetica nell’uomo, la gestione degli eventi avversi, la dimostrazione – statistica, ripetuta, regolatoria – che il beneficio supera i rischi per pazienti reali, con comorbidità e routine complesse. La buona notizia è che la pipeline del settore capelli si sta diversificando e rafforzando; la prudenza è d’obbligo perché la storia di questo ambito è costellata di entusiasmi non confermati quando si passa dalla piastra al paziente. Una recente rassegna su rivista mette in fila proprio questa pluralità: piccole molecole, biologici, approcci cellule-based; molto promettente, ma ancora in marcia di avvicinamento.

Se mettiamo insieme i pezzi, emerge un quadro più sobrio ma non meno stimolante di quello dei titoli. Siamo in una stagione in cui l’intelligenza artificiale sta diventando un acceleratore di scoperte anche in tricologia, e alcuni candidati – ABS-201 su tutti – mostrano nei modelli preclinici un potenziale che vale la pena inseguire. Allo stesso tempo, i trattamenti disponibili per alcune forme specifiche di alopecia ricordano che il progresso clinico è possibile, ma richiede prova rigorosa. Tradotto per chi soffre di diradamento: c’è motivo di sperare in opzioni più efficaci e comode nei prossimi anni, ma la bussola rimane quella dei trial clinici, della trasparenza sui dati e della medicina personalizzata, magari proprio con l’IA a cucire dosi e intervalli sulla risposta di ciascuno. Finché la scienza non parlerà con numeri umani, il consiglio più onesto è tenere l’entusiasmo alto e le aspettative ancorate: le novità più interessanti nascono spesso così, tra un titolo che sogna e un protocollo che misura.

Di Fantasy