L’intelligenza artificiale sta dimostrando una sorprendente capacità di penetrare ambiti un tempo ritenuti esclusivo dominio dell’intelletto umano, e il progetto “Imparare Magritte da Magritte” ne è una lampante dimostrazione. Questa iniziativa non si è limitata a utilizzare l’AI come mero strumento di analisi formale, ma l’ha impiegata per decifrare la complessa sintassi visiva e la poetica enigmatica che contraddistinguono l’opera di René Magritte, uno dei maestri più singolari del Surrealismo.
Il progetto, sviluppato in collaborazione con il Magritte Museum, ha avuto l’obiettivo ambizioso di addestrare un modello di intelligenza artificiale sul vasto catalogo delle opere dell’artista belga, non per replicare le sue tele, ma per comprenderne le logiche interne e i meccanismi creativi. Magritte non era un pittore di pura astrazione o automatismo; la sua arte era un esercizio intellettuale rigoroso, una sistematica messa in discussione del rapporto tra immagine, parola e realtà. Le sue opere sono popolate da oggetti comuni – la pipa, il cappello a bombetta, la mela, la nuvola – disposti in contesti illogici o affiancati in modi che perturbano la percezione.
Il modello di AI è stato alimentato con l’intera opera dell’artista, imparando a riconoscere non solo gli elementi ricorrenti, i cosiddetti “oggetti magrittiani”, ma anche le regole implicite della loro giustapposizione. L’intelligenza artificiale ha acquisito la capacità di identificare la “grammatica” del suo linguaggio visivo: la frequenza con cui un certo oggetto compare in un determinato ambiente, come l’artista manipola le dimensioni o nasconde parti del volto, o quali combinazioni di elementi sono predilette per generare quel senso di familiare mistero che è la cifra stilistica di Magritte.
Il risultato di questo addestramento è stato la creazione di opere “pseudo-magrittiane”. È fondamentale notare che l’intento non era quello di produrre falsi d’arte perfetti, bensì di mettere alla prova la capacità dell’AI di generare novità che fossero coerenti con lo stile appreso. Se il sistema è riuscito a produrre dipinti che, seppur riconoscibili come generati artificialmente, rispettano i canoni compositivi e tematici di Magritte, ciò suggerisce che una parte sostanziale del processo creativo dell’artista era, in effetti, riconducibile a una serie di regole combinatorie e logiche.
Questa esperienza ha implicazioni profonde per lo studio dell’arte e della creatività. Dimostra che anche le forme di espressione più geniali e apparentemente irrazionali possono essere, in parte, decomposte e analizzate in termini di regole algoritmiche. L’AI diventa così uno specchio in cui l’umanità può osservare la propria creatività da una prospettiva inedita, consentendo agli storici e ai critici d’arte di isolare con maggiore chiarezza dove finisce la regola e dove inizia il “tocco” ineffabile dell’artista. L’Intelligenza Artificiale, in questo caso, non ruba la creatività a Magritte, ma ci aiuta a capirne i meccanismi, offrendo un nuovo potente strumento per l’apprezzamento e l’analisi dell’arte surrealista.
