Negli ultimi decenni, la fusione nucleare è stata considerata la scommessa ultima dell’energia pulita: un processo in cui due nuclei leggeri si fondono per formare uno più pesante, rilasciando una quantità di energia enorme senza gli stessi rifiuti radioattivi prodotti dalla fissione. Tuttavia, rendere la fusione una fonte di energia pratica e affidabile è stato un obiettivo sfuggente, ostacolato da sfide tecniche immense, in particolare la gestione del plasma ultracaldo — una miscela di particelle cariche a temperature più alte di quelle del Sole — all’interno dei reattori sperimentali. In questo scenario, il Regno Unito ha deciso di puntare proprio sull’intelligenza artificiale come alleato strategico per superare alcuni dei principali colli di bottiglia della ricerca, accelerando simulazioni e progettazioni con metodi che un tempo sarebbero stati impensabili.
La fusione nucleare richiede il controllo di un plasma incredibilmente instabile, che deve essere confinato con campi magnetici potentissimi in strutture complesse come i tokamak. Per progettare questi sistemi e prevedere come si muove e si comporta il plasma al loro interno, i fisici si affidano a modelli matematici estremamente dettagliati che descrivono il comportamento di milioni di particelle su cinque dimensioni. Simulare questo comportamento con i metodi tradizionali significa utilizzare supercomputer per giorni o settimane interi, consumando tempo, energia e risorse. L’intelligenza artificiale entra in gioco proprio qui: ricercatori britannici hanno sviluppato modelli di machine learning che riescono a simulare la turbolenza del plasma in poche frazioni di secondo, riducendo i tempi di calcolo fino a migliaia di volte rispetto ai metodi convenzionali e aprendo la strada a una progettazione molto più rapida e iterativa delle macchine a fusione.
Questi progressi non sono meri avanzamenti informatici, ma rappresentano un cambio di paradigma nel modo in cui la fusione viene studiata. Il plasma, che si comporta in modo estremamente caotico e dipendente da variazioni di temperatura, densità e campo magnetico, è difficile da modellare con equazioni fisiche tradizionali senza un’enorme potenza di calcolo. Allenando reti neurali sofisticate con i dati generati da simulazioni fisiche e da esperimenti reali, gli scienziati possono addestrare l’IA a “prevedere” come il plasma evolverà in condizioni diverse, accelerando non solo la pianificazione teorica ma anche il controllo in tempo reale dei reattori futuri. In una prospettiva ideale, modelli come questi potrebbero essere integrati nei sistemi di controllo effettivi dei reattori, anticipando e correggendo instabilità ancor prima che si manifestino nella realtà fisica, un passo fondamentale per la stabilità operativa di un impianto di fusione commerciale.
Il ruolo dell’intelligenza artificiale non si limita alla sola simulazione del plasma. Nel Regno Unito è stato creato un ambiente di ricerca dedicato all’integrazione di IA e scienza sperimentale, come dimostra l’istituzione della prima AI Growth Zone presso il campus del UK Atomic Energy Authority a Culham, in Oxfordshire. Questa iniziativa, parte di una strategia nazionale per l’innovazione scientifica, punta a fornire infrastrutture di calcolo avanzate e risorse dedicate per affrontare sfide complesse in vari campi, dalla fisica dei plasmi alla progettazione di impianti, con un uso intensivo di tecnologie di intelligenza artificiale.
Un’altra applicazione potenziale dell’IA è rappresentata dalla creazione di digital twin, repliche digitali di prototipi di reattori che consentono agli scienziati di testare e ottimizzare configurazioni in un ambiente virtuale prima di costruire componenti fisici costosi. Un progetto annunciato per il campus di Culham prevede l’uso di un datacenter ad alte prestazioni dedicato proprio a ospitare questi gemelli digitali di impianti di fusione, consentendo di sperimentare e correggere in anticipo molti aspetti progettuali, riducendo tempi e costi.
Il contesto più ampio di questi progressi è la strategia del Regno Unito di consolidare la sua posizione come hub scientifico globale nella clean tech e nel deep-tech, sostenuta anche da investimenti pubblici e privati significativi nell’innovazione e negli studi avanzati. Il governo britannico ha stanziato ingenti fondi per sostenere la ricerca sulla fusione insieme a iniziative nei settori delle scienze della vita, dell’IA e delle tecnologie critiche, con l’obiettivo di mantenere la competitività del Paese nella corsa tecnologica internazionale.
Questa attenzione non è priva di prospettive concrete: l’uso dell’IA potrebbe infatti accelerare la transizione dalla ricerca teorica alla realizzazione di un reattore di fusione commerciale, un impianto capace di produrre energia utile alla rete senza emissioni di gas serra e con scarti radioattivi molto inferiori rispetto alla fissione nucleare tradizionale. Seppure restino ancora significative sfide ingegneristiche da superare — come i materiali in grado di resistere a condizioni estreme o la produzione sostenibile di trizio, un isotopo dell’idrogeno usato nei reattori — l’uso dell’intelligenza artificiale elimina uno dei maggiori ostacoli storici: la lentezza del ciclo di simulazione, test e correzione che ha finora rallentato gli esperimenti di fusione.
