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C’è qualcosa di sorprendente in quella frase: “il primo podcast interamente creato con l’intelligenza artificiale con il digital twin di un giornalista reale”. È un’affermazione che mescola futuro e presente, tecnologia e umanità, sperimentazione e racconto. È l’idea che la voce possa abitare non solo un microfono, ma algoritmi, repliche digitali, intelligenze artificiali capaci di simulare un ospite reale in dialogo. Ed è esattamente quello che sta facendo Cogit AI con AI Unplugged, il podcast che vuole sperimentare nuovi linguaggi comunicativi, usare l’IA non come strumento di sostituzione ma come leva creativa.

La seconda puntata di AI Unplugged segna un salto: non è più solo figura storica o personaggio ricreato postumo dall’IA, ma un giornalista vivo, Massimo Cerofolini, che parla in carne ed ossa, ma anche tramite la sua “replica digitale”. Lisa è l’host AI che guida la conversazione, pone domande, fa da contraltare, mentre il “digital twin” di Cerofolini interviene come se fosse una sua estensione, una parte di sé mediata dalla tecnologia. Non è uno scenario fantascientifico, ma un esperimento concreto che mette in gioco che cosa significa essere presente, comunicare, essere autentici oggi, quando la voce può essere duplicata, quando la presenza può essere replicata.

La scelta di Massimo Cerofolini non è casuale: giornalista, conduttore radiofonico, autore televisivo, con programmi che indagano la tecnologia nella vita quotidiana, è una personalità che già vive a cavallo fra realtà, media, riflessione sull’innovazione. Inserirlo in questo format significa dare credibilità all’operazione, renderla non solo curiosità, ma anche occasione per riflettere su come l’IA sta cambiando non solo cosa diciamo, ma come diciamo, chi ascolta, chi è ascoltato.

L’esperimento usa la tecnologia che Cogit chiama “Agentica”, che consente di costruire digital twin, ovvero repliche digitali capaci di interagire, rispondere, tenere un dialogo credibile. La voce reale dell’ospite si fonde con la sua versione AI, creando un tessuto comunicativo nuovo: ogni risposta, ogni stimolo della conversazione è pensato non solo per informare, ma per mostrare — per far vedere — come l’IA può abitare le sfumature della discussione, della persona, del giornalista come “espansione digitale”.

Ma naturalmente non è un gioco privo di implicazioni. C’è il tema dell’autenticità: cosa vuol dire che una voce sia vera se parte di essa è mediata da algoritmi? Quanto può replicare il digitale le sfumature, l’ironia, la timbrica, gli sbagli, le esitazioni, quell’umano che non sempre è perfetto? C’è la questione etica: il consenso, il controllo su come viene usata la “voce digitale”, su quali risposte vengano attribuite al “gemello digitale”, su quanto l’ascoltatore sia consapevole di che cosa è “reale” e che cosa è mediazione.

C’è anche la prospettiva culturale: se da alcuni anni l’IA ha cominciato a entrare nelle redazioni, nei processi produttivi dell’informazione, nei sistemi di riconoscimento, nei suggeritori di contenuti, qui si va oltre: qui si costruisce una forma di racconto che non dipende solo da chi parla, ma da come si parla, da chi replica, da che equilibrio si costruisce fra umano e macchina. È come se stessimo guardando dentro un esperimento sociologico oltre che tecnologico: quale grado di mediazione siamo disposti ad accettare? Quale valore attribuiamo all’autenticità?

Per il pubblico che ascolta, AI Unplugged può diventare non solo un’occasione per apprendere, capire cosa sta accadendo con l’intelligenza artificiale, ma anche per sperimentare una forma diversa di ascolto. Perché non basta il contenuto: conta la voce, il tono, l’interazione, la sorpresa. E in questo caso, la sorpresa è vedere un giornalista in due forme, reale e digitale, in dialogo con un host che è interamente artificiale, in una conversazione che si muove fra tecnica, riflessione, emozione.

Questa seconda puntata, disponibile sul canale YouTube di Cogit AI, è solo una tappa. Cogit annuncia che altre novità verranno nelle puntate future: mix di personaggi storici, ospiti contemporanei, voci digitali e reali. L’idea è tenere lo sguardo rivolto avanti, spingere sul confine di ciò che la tecnologia permette, ma anche interrogarsi su cosa vogliamo come ascoltatori, come produttori di narrazione, come cittadini immersi in un mondo in cui l’IA non è più solo strumento, ma protagonista parziale.

Alla fine, ciò che Cogit AI propone con AI Unplugged non è un gadget tecnologico, ma una sfida culturale: ridefinire che cosa significhi “fare informazione”, “fare racconto”, “avere dialogo” quando le voci possono essere replicate, quando le presenze possono essere moltiplicate, quando il pubblico diventa parte di un’esperimento comunicativo. Un’esperienza che chiede a ognuno di noi non solo di ascoltare, ma di capire, di discernere, di riflettere su quanto della voce che ci arriva è davvero dell’umano, quanto del digitale, e su come quel confine stesso si sta spostando ogni giorno.

Di Fantasy