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Nel silenzio maestoso del Monviso, là dove l’aria è sottile e i sentieri si perdono nella nebbia, si cela una storia toccante che intreccia il coraggio umano, la natura impietosa e un insospettabile alleato: l’intelligenza artificiale.

Era la metà di settembre 2024 quando il medico Nicola Ivaldo, originario della Liguria, sparì senza lasciare traccia, nel cuore delle montagne piemontesi. Dieci lunghi mesi in cui le speranze si consumavano sotto il sole e tra le nebbie, finché, lo scorso luglio, la vicenda prese una svolta decisiva – e inaspettata.

Fu il Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS), con la sua rete capillare e l’esperienza di anni sul campo, a chiamare in causa una risorsa tanto moderna quanto potente: l’IA. A Milano, dove ha sede centrale, si coordinarono le operazioni; sul terreno, invece, droni silenziosi sorvolavano la foresta, scattando oltre 2.500 fotogrammi su un’area di ben 183 ettari. Mediante sofisticati algoritmi, l’intelligenza artificiale analizzò ogni immagine, restituendo un dato tanto semplice quanto vitale: l’uomo era lì, tra quelle montagne ostili, il suo caschetto faceva capolino in uno scatto apparentemente banale. In circa tre giorni, lì dove un operatore umano avrebbe impiegato settimane – con risultati incerti – si compì un recupero concreto, umano, salvifico.

Ma questa non è solo una cronaca tecno‑miracolosa. È l’alba di un futuro incerto, in cui agenti intelligenti – sistemi autonomi che percepiscono l’ambiente, agiscono, prendono decisioni – potrebbero diventare i primi a dare l’allarme in caso di emergenza. L’idea, immaginata da Jan‑Hendrik Ewers dell’Università di Glasgow, è quella di affidare ai droni non soltanto la visione, ma anche il compito di iniziare in autonomia le operazioni di soccorso, ben prima dell’intervento umano. Un’idea che strizza l’occhio al domani, ma pone domande già oggi.

In effetti, quella che sembra pura efficienza tradisce un sottile dilemma morale. William Budington, tecnologo senior dell’Electronic Frontier Foundation, ha sollevato preoccupazioni legate alla privacy e ai diritti fondamentali. Usare l’IA per salvare vite è nobile, ma cosa accade quando il tracciamento diventa intrusione? Un sistema così sensibile, se usato in modo irresponsabile, potrebbe individuare chi sfugge al controllo dello Stato, dissidenti, rifugiati. “Gli equilibri tra tecnologia e diritti fondamentali non dovrebbero essere messi in discussione per nessun motivo” ammonisce Budington.

E allora, davanti alla meraviglia dei dati che salvano, bisogna fare un passo indietro. È stato proprio il giornale a suggerirlo, con la seducente semplicità di un consiglio accorto: oltre alla tecnologia, servono buon senso, preparazione e strumenti accessibili. In primis, la prudenza personale dell’escursionista, il suo senso del limite, la sua consapevolezza. E poi GeoResQ, l’app del CNSAS che – previo abbonamento (20 € annui, con 15 giorni di prova gratuita) – mette al servizio della tua sicurezza funzioni di geolocalizzazione e invio di SOS. Un’aggiunta digitale al coraggio analogico dell’uomo sul sentiero.

Questa storia, sospesa tra le pieghe di una montagna e l’altezza di un algoritmo, ci parla di un tempo in cui l’uomo e la macchina collaborano, ma non si sostituiscono. L’intelligenza artificiale non è l’eroe silenzioso che salva da sola; è lo strumento che amplifica la dedizione, il coordinamento, la speranza.

Eppure resta una domanda, che si insinua come una crepa nella roccia: quando la tecnologia rivela ciò che nessun occhio umano poteva vedere, quanto è insidiosa la linea tra protezione e sorveglianza? Dove comincia il soccorso e dove finisce l’invasione?

Il monito, in definitiva, risuona chiaro: non smettiamo mai di camminare con saggezza, né smettiamo di metterci in ascolto – della tecnologia, certo, ma anche della nostra coscienza.

Di Fantasy