In un’epoca in cui l’Intelligenza Artificiale si sforza di padroneggiare ogni sfumatura, logica e contesto del linguaggio umano, Sam Altman, CEO di OpenAI, ha scelto di giocare la carta dell’assurdo. Con un breve e criptico post su X, l’amministratore delegato ha annunciato che il prossimo modello di punta dell’azienda, il tanto atteso successore di GPT-5, non si chiamerà semplicemente GPT-6, ma “GPT-6-7”. Quello che a prima vista è sembrato un errore di battitura o una versione provvisoria, in realtà si è rivelato un gesto di sarcastica, o forse geniale, ironia culturale, che strizza l’occhio al fenomeno virale più incomprensibile della Generazione Alpha.
La chiave per decifrare l’intenzione di Altman risiede nella scelta della “Parola dell’Anno” da parte del celebre dizionario online americano Dictionary.com. Non una parola nel senso tradizionale del termine, ma l’espressione ambigua e diffusissima “6-7” (da leggere come “six-seven”, non “sessantasette”), che ha dominato le piattaforme social e i corridoi delle scuole. La scelta di Dictionary.com è arrivata dopo aver analizzato un’esplosione di dati provenienti da motori di ricerca e social media, riconoscendo l’enorme impatto di questa frase, soprattutto tra le generazioni più giovani.
Ma cosa significa esattamente “6-7”? E qui sta il punto cruciale dell’ironia di Altman: non significa quasi nulla di definito. L’espressione è un gergo, un codice segreto che la Gen Alpha utilizza per esprimere un sentimento vago, come un “Lo so”, un “Così così”, o un “Chissà”, spesso associato a un movimento delle mani in cui entrambi i palmi, rivolti verso l’alto, si muovono alternativamente su e giù, come uno scrollare di spalle esasperato o confuso. È, in sostanza, la quintessenza del caos linguistico giocoso.
La sua origine viene fatta risalire a un brano del rapper Skrilla, “Doot Doot (6 7)”, e ha guadagnato una popolarità travolgente su TikTok, in particolare attraverso meme che facevano riferimento all’altezza di 2,01 metri della star dell’NBA LaMelo Ball. Questo ha cementato l’espressione nell’immaginario digitale come un inside joke privo di contesto, la cui unica vera funzione è segnare l’appartenenza a un trend e confondere gli adulti.
La mossa di Sam Altman, che ha fatto schizzare le visualizzazioni del suo post a milioni in poche ore, è un commento sottile e brillante sulla tensione tra la precisione della macchina e il non-senso dell’umanità. I modelli GPT sono costruiti per comprendere il contesto, la sfumatura e la logica, eppure il loro sviluppatore decide di ironizzare su questa abilità adottando un termine che sfida apertamente ogni definizione. È un modo per dire che, per quanto l’AI possa avvicinarsi a padroneggiare la comunicazione umana, ci sarà sempre un elemento di imprevedibilità e di gioiosa assurdità che sfugge alla logica algoritmica.
La Parola dell’Anno 2025 non è stata solo “6-7”; tra i candidati selezionati da Dictionary.com figurava anche “agentic”, un termine che descrive proprio la capacità dell’Intelligenza Artificiale di agire in modo autonomo, prendendo decisioni indipendenti per raggiungere un obiettivo. Questo crea un contrasto poetico: mentre i ricercatori di AI si concentrano sull’infondere agentività, ossia scopo e autonomia, nei loro modelli, le nuove generazioni celebrano un termine che esprime esattamente il contrario: ambiguità, indecisione e un’esuberanza linguistica senza meta.
Quindi, se il prossimo modello di OpenAI si chiamerà davvero GPT-6-7 o se è solo l’ultimo scherzo di Altman, resta un’incognita; ma l’annuncio ha già centrato il punto, unendo due ossessioni del nostro tempo, il progresso inarrestabile dell’Intelligenza Artificiale e l’assurdismo della cultura giovanile, in un’unica, gloriosa e deliziosamente confusa espressione.
