Immagine AI

Negli ultimi anni la corsa all’intelligenza artificiale ha vissuto una trasformazione rapidissima, e Google si è ritrovata al centro di una delle inversioni di rotta più sorprendenti del settore. All’inizio, la sua posizione sembrava indebolita: Bard, il primo tentativo di risposta a ChatGPT, si era presentato con una demo disastrosa, inciampando su errori elementari che avevano fatto il giro del web. Anche i primi modelli generativi per immagini avevano alimentato polemiche e preoccupazioni, tra ricostruzioni inesatte e distorsioni che mettevano in imbarazzo l’azienda. In una fase in cui OpenAI dettava il ritmo dell’innovazione e la stampa la celebrava come leader indiscussa, Google sembrava arrancare.

Poi però le cose hanno iniziato lentamente a cambiare. Nel dicembre del 2023, con il lancio della prima versione di Gemini, Google ha dato il primo segnale di voler rientrare in gioco. La svolta vera, però, è arrivata con la terza generazione dei suoi modelli. Gemini 3 e il nuovo generatore di immagini e video, Nano Banana Pro, hanno finalmente mostrato ciò che da tempo si sospettava: Google aveva tutte le competenze per costruire un sistema avanzato, all’altezza – se non superiore – delle soluzioni offerte dai suoi principali concorrenti.

Con questa nuova generazione, Google non è tornata semplicemente a competere: ha ribaltato le aspettative. Test indipendenti hanno dimostrato che i nuovi modelli erano in grado di superare diverse alternative sul mercato e questo ha riavvicinato utenti e investitori, ridando slancio a un’azienda che per un periodo era sembrata in affanno. Ma ciò che rende questa storia ancora più interessante è che la rinascita di Google nel campo delle AI non si è fermata al software.

Una parte fondamentale della strategia è stata infatti la decisione di puntare con forza sull’hardware proprietario. Le TPUs di Google, sviluppate per addestrare e gestire modelli di grandi dimensioni, sono diventate il fulcro di un ecosistema integrato: modelli, infrastrutture e chip progettati per funzionare insieme. Questa mossa ha avuto conseguenze che hanno superato di gran lunga la disputa con OpenAI.

Le TPUs, più efficienti e meno costose delle classiche GPU utilizzate per l’intelligenza artificiale, hanno iniziato a rappresentare un’alternativa concreta agli hardware NVIDIA, che fino a quel momento avevano dominato senza rivali il mercato dell’AI. Per anni addestrare un modello di grandi dimensioni era stato sinonimo di “comprare GPU NVIDIA”, quasi un passaggio obbligato. L’arrivo di infrastrutture proprietarie come quelle di Google ha rotto questo schema e messo in discussione una dipendenza che sembrava eterna.

Il risultato non si è fatto attendere. Mentre Google recuperava terreno nella percezione pubblica e tra gli sviluppatori, NVIDIA ha iniziato a mostrare segni di vulnerabilità. Non tanto per un calo improvviso della domanda, quanto per la comparsa di un nuovo paradigma: non più un’unica via per costruire AI su larga scala, ma un ecosistema variegato in cui ciascuno dei grandi player vuole controllare l’intera filiera, dal chip al modello.

Quello che era iniziato come un tentativo di recupero nei confronti di OpenAI si è trasformato in una scossa sistemica. Google ha dimostrato che, per competere davvero, non basta un buon modello: serve un’infrastruttura completa, interamente progettata per ottimizzare ogni livello dell’esperienza. La sua strategia è diventata un “full-stack” che unisce ricerca, modelli, ambiente cloud e chip prodotti in casa, con una visione che abbraccia tutto il ciclo di vita del prodotto.

Guardando agli sviluppi più recenti, Google ha smesso di inseguire: ha iniziato a definire un proprio percorso, più solido e più ampio. Non vive di un singolo exploit o dell’hype attorno a un prodotto, ma di un’architettura tecnologica che vuole essere la spina dorsale di un’intera generazione di strumenti intelligenti.

In questo scenario, la competizione non è più solo fra Google e OpenAI, né su chi costruisce il modello linguistico più sorprendente. La partita si gioca sulla capacità di controllare la catena del valore dell’intelligenza artificiale, dalla progettazione dei chip ai servizi di cloud che faranno girare i modelli del futuro. E qui, sorprendentemente, Google ha dimostrato di essere non soltanto un competitor, ma un centro di gravità capace di influenzare le mosse di tutto il settore, compreso un colosso come NVIDIA.

Perché a volte, mentre cerchi di raggiungere un avversario, finisci per destabilizzare il gigante che non ti aspettavi nemmeno di toccare.

Di Fantasy