Siamo abituati a considerare i semiconduttori come un’unica famiglia di prodotti alla base della nostra tecnologia, ma solo alcune tipologie di microprocessori sono adatte a funzioni avanzate, come ChatGPT di OpenAI, ErnieBot e così via.

Chi controlla i chip per l’intelligenza artificiale, controllerà anche l’industria di consumo che si sta formando sotto i nostri occhi e, a cascata, anche tutte le ricche sotto-industrie che seguiranno, come quella della Difesa.

I microprocessori per l’AI sono di fatto già in mano a un oligopolio, perché si tratta dei chip più performanti. Secondo McKinsey, le sole vendite di questa famiglia di chip toccheranno i 67 miliardi di dollari a brevissimo, nel 2025. Si tratta di un decimo del totale odierno del mercato mondiale dei semiconduttori (stimato a 2 trilioni nel 2035), ma che ne rappresenta la quota più redditizia: un quadratino di silicio di 46 millimetri per lato, con dentro 2,6 trilioni di transistor.

Sebbene si tratti di una legge empirica, l’osservazione di Moore (Gordon Moore, uno dei fondatori della Intel) è stata rispettata fino ad oggi (ogni 18-24 mesi le prestazioni di un chip tendono a raddoppiare, il che corrisponde a dire che, circa, il valore si dimezza a parità di prestazioni) ed è alla base anche del crollo del costo dei computer che ne ha permesso l’ingresso in ogni casa.

Un indizio probante di quanto questa tipologia di microprocessori sia già di fatto considerata un’arma strategica e geopolitica lo si trova nel recente bando americano nella vendita alla Cina di tutti i prodotti che contengono Ai-chip.

Per l’Europa, la capacità produttiva nei semiconduttori è scesa dall’24% mondiale del 2000 all’8% attuale. Non è soltanto una questione di perdita di “sovranità tecnologica”, ma di dipendenza dall’Asia con tutte le difficoltà che sono emerse durante la pandemia con il cosiddetto chip-shortage.

Il professor Alberto Sangiovanni Vincentelli, della Berkeley University, ha ricevuto il premio BBVA Foundation Frontiers of Knowledge, e ha affermato che c’è una rivoluzione in atto nel “packaging” dei chip di cui si stanno rendendo conto tutti i grandi player come Intel e Tsmc: fare un chip che contenga tutti i transistor e che sia molto affidabile fa esplodere i costi a causa dei controlli di qualità e dei resi molto alti.

Proprio per questo, l’idea generale è di considerare chip più piccoli nudi da impacchettare insieme grazie anche all’integrazione tridimensionale. Questo potrebbe portare alla democratizzazione parziale dell’industria perché anche le PMI potrebbero acquistare microchip da collegare come dei pezzetti Lego.

Anche l’ingresso di nuovi player come Tesla, Google e Amazon sta cambiando il panorama dell’industria dei chip. Questa potrebbe essere una porta di ingresso per l’Europa che è rimasta indietro.

Va sottolineato che la Russia non è un grande produttore di chip, ma ha lo stesso un ruolo cruciale perché produce il 45% del palladio, una materia prima fondamentale. Mentre come è noto la Cina domina consapevolmente le miniere di terre rare con oltre il 90% delle riserve.

Sempre nel 1990 gli Stati Uniti producevano il 37% del mercato dei semiconduttori, ma ora stanno rincorrendo un mercato perso. Va sottolineato come non abbiano fatto l’errore di retrocedere dalla fascia che ora domina l’industria del supercomputing e dell’intelligenza artificiale. Nvidia, Intel e Tsmc, Taiwan Semiconductor Manufacturing, sono nomi che fanno parte di questo potentissimo oligopolio.

Di Fantasy