L’era dei coder tradizionali sembra volgere al termine: una nuova generazione di imprenditori, “nativi digitali dell’AI”, sta dando vita a startup interamente costruite attraverso strumenti di intelligenza artificiale. Grazie a piattaforme come Cursor, Replit e Lovable, fondatori senza formazione informatica tradizionale realizzano prodotti complessi in pochi giorni, con costi ridotti e un’energia creativa alimentata dall’“istinto” delle macchine. Questo fenomeno, noto come “vibe coding”, è al centro delle discussioni in Y Combinator e negli ambienti più innovativi della Silicon Valley, e promette di abbassare drasticamente le barriere all’ingresso nel mondo delle tecnologie software.
Il concetto di “vibe coding” è emerso con forza in un recente podcast di Y Combinator, in cui Jared Friedman ha rivelato che quasi il 25% dei fondatori del batch più recente dichiara che l’IA scrive oltre il 95% del loro codice. Garry Tan, CEO di YC, ha aggiunto che questi imprenditori non hanno mai conosciuto un mondo senza strumenti come Cursor, che consentono di “vibrare” il codice tramite semplici prompt. In questo nuovo paradigma, la produttività non è più legata a decenni di studio di informatica, ma alla capacità di collaborare con algoritmi avanzati, sfruttando un flusso creativo che ricorda le “prime generazioni digitali” cresciute con Internet.
Uno degli esempi più emblematici di questa ondata è Billy Howell, solopreneur autodidatta che ha utilizzato agenti AI su Replit per creare e vendere applicazioni a prezzi irrisori rispetto agli standard del settore
analyticsindiamag.co. In un post virale su LinkedIn, Howell ha raccontato di aver sviluppato un tracker KPI per tecnici automobilistici, venduto per 750 $ dopo averlo costruito con il supporto di chatGPT e Replit, dimostrando che anche chi parte da zero può lanciare un prodotto funzionante in tempi record e con un budget limitato.
Questa tendenza non si limita a semplici progetti personali: Brad Lindenberg, cofondatore di Quadpay, ha creato Biography Studio AI—una piattaforma che genera biografie complete tramite comandi vocali—in sole otto settimane con 1.500 $ di token, un’operazione che senza IA avrebbe richiesto un team di otto persone e oltre 1,7 milioni di dollari di investimento.
Anche realtà consolidate hanno sfruttato il “vibe coding”: la piattaforma Lovable ha supportato edtech brasiliane come Qconcursos, capaci di generare 3 milioni di dollari in 48 ore con soli due sviluppatori, mentre Anton Osika, cofondatore di Lovable, ha registrato oltre 2,5 milioni di siti creati sulla sua piattaforma in un solo mese, pari al 10% dei nuovi siti Web globali a giugno.
Parallelamente, Replit si afferma come catalizzatore dell’innovazione interna alle grandi aziende: Zillow ha coinvolto non-ingegneri nella costruzione di sistemi di routing e Jaguares Football ha sviluppato autonomamente, per 226 $, una piattaforma di scheduling per eventi che altrimenti sarebbe costata 68.000 $ al mese in outsourcing. Anche su Reddit e su LinkedIn fioccano testimonianze di progetti completi—da marketplace nuziali a strumenti di interviste simulate—sviluppati in pochi minuti o giorni, dimostrando come gli algoritmi di IA assolvano ruoli un tempo riservati a team numerosi e costosi.
Tuttavia, l’esplosione del vibe coding ha già suscitato primi attriti legali: DocuSign ha inviato un avviso a Michael Luo per una sua versione open-source costruita interamente con ChatGPT, Cursor e Lovable, segno che anche i colossi devono adattare i propri modelli di business a un contesto in cui i diritti di proprietà intellettuale si ridefiniscono continuamente.
In conclusione, il vibe coding non è un mero trend tecnologico, ma un cambio di paradigma: democratizza la creazione di software, riduce costi e tempi di sviluppo e potenzialmente apre il mercato a milioni di aspiranti imprenditori. Mentre alcuni temono per la qualità e la sicurezza del codice generato automaticamente, altri vedono nell’“istinto” dell’IA la chiave per sbloccare una nuova era di innovazione rapida, accessibile e radicalmente inclusiva. La domanda non è più se questo fenomeno cambierà il mondo delle startup, ma in quale misura e in che direzione lo trascinerà.