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È una storia che comincia in laboratorio e finisce in piazzale, tra carri, gru e orari che mutano all’ultimo minuto. Dopo tre anni di sviluppo, nell’ottobre 2025 si è chiuso con successo Kiba, il progetto tedesco che ha portato l’intelligenza artificiale dentro il cuore operativo del trasporto combinato ferroviario, con un obiettivo tanto semplice da dire quanto difficile da realizzare: usare algoritmi e modelli di ottimizzazione per sfruttare meglio la capacità dei treni, ridurre tempi morti e manovre, rendere il sistema più prevedibile e più sicuro. È il tipo di innovazione che non si vede in vetrina ma si sente nella continuità del servizio, nella regolarità delle consegne, nella capacità di reagire a deviazioni e cancellazioni di convogli. A tirare le fila del programma è stata Kombiverkehr, attore chiave dell’intermodale europeo, che ha guidato un consorzio accademico-industriale e ne ha raccontato i risultati con la concretezza di chi misura il cambiamento in tonnellate-km e minuti risparmiati.

Il perno tecnico di Kiba è un dimostratore: un sistema integrato che unisce gestione della capacità di rete, pianificazione ottimizzata del carico e un centro dati “anagrafe” capace di alimentare un’interfaccia web per l’uso operativo. Significa avere, in un unico ambiente, le leve per decidere quali treni far correre, come comporli, quali unità di carico disporre su quali carri, in quale ordine e con quali priorità, sapendo che ogni scelta influisce sulla successiva. È una cabina di regia digitale che non pretende informazioni perfette, ma si adatta alla realtà di terminali affollati, disponibilità che cambia e linee ferroviarie che si interrompono, producendo comunque una proposta di caricamento valida in tempi rapidi. La promessa è ridurre i movimenti inutili, rispettare i vincoli di sicurezza, comprimere i cicli di piazzale e far viaggiare treni più “pieni” in peso e lunghezza, con meno ricarichi e meno occasioni di errore.

Per riuscirci, Kiba ha imbastito un doppio telaio algoritmico. Da un lato la Pianificazione Ottimizzata della Rete, che combina previsioni di volume basate su intelligenza artificiale con tecniche di ottimizzazione matematica per massimizzare l’uso dei convogli e tagliare tempi di trasporto e trasbordi; dall’altro la Pianificazione Ottimizzata del Carico dei Treni, che prende sul serio la fisica del caricamento: pesi, ingombri, tipologie di carri, sequenze operative delle gru, e soprattutto le regole stringenti per le merci pericolose. Insieme, i due moduli lavorano su grandi volumi di dati storici e correnti, ridistribuendo in corsa le unità quando qualcosa cambia – una chiusura di linea, una cancellazione improvvisa – e mantenendo il disegno complessivo il più vicino possibile all’optimum. Il risultato, nelle parole del coordinatore, è un prototipo che aiuta a massimizzare capacità, utilizzare meglio le risorse e rendere il combinato più attrattivo, con un effetto diretto anche sulla transizione modale e quindi sul clima.

La sostanza, però, sta anche nel metodo con cui è stata cucita la soluzione. Il consorzio ha mescolato le mani di chi studia e di chi manovra: Università Tecnica di Darmstadt e Università Goethe di Francoforte accanto a operatori come DUSS, VTG Rail Europe, Inform e KombiConsult, con la regia di Kombiverkehr. Una squadra così ibrida non è un orpello: serve a far sì che la matematica non resti sulla carta e che l’algoritmo sappia parlare il linguaggio dei turni, delle priorità operative, delle finestre temporali in cui davvero si carica e si scarica. È un equilibrio raro da mantenere, ma qui ha avuto anche il sostegno dell’istituzione pubblica: 2,34 milioni di euro dal ministero federale nell’alveo del programma “Intelligenza Artificiale nella Mobilità”, una cornice che chiama i prototipi a diventare strumenti di lavoro, non semplici prove di concetto.

Il campo di battaglia è quello, notoriamente complesso, dell’intermodale europeo. Non esiste “il” vagone né “la” unità di carico: esistono molte famiglie e molti standard che devono incastrarsi ogni giorno dentro orari merci mutevoli. Kiba ha affrontato proprio questo mosaico: assegnare le unità ai carri rispettando vincoli statici – dimensioni, pesi, caratteristiche tecniche – e variabili – carichi effettivi, priorità, conflitti di piazzale – per arrivare a una composizione che minimizzi movimenti e imprevisti. L’efficienza, qui, non è un’etichetta astratta ma la somma di tante micro-decisioni corrette: un posizionamento che evita un sollevamento in più, una sequenza che riduce un trasbordo, una scelta che tiene conto del “dopo” oltre che del “subito”. È in questa attenzione al dettaglio operativo che la combinazione tra IA e ottimizzazione matematica mostra il suo valore.

Non a caso, il progetto parla già di “prossime fermate”. Conclusa la fase di sviluppo, la base è pronta per test in tempo reale presso terminal e operatori, con due fuochi immediati: migliorare la qualità dei dati – perché algoritmi e modelli sono esigenti sulla coerenza informativa – e automatizzare gli scambi tra sistemi, così da ridurre attriti e tempi di latenza. La scalabilità europea è la vera cartina di tornasole: un prototipo che funziona in un contesto va messo alla prova in molti altri, con regole diverse, morfologie di rete diverse, abitudini operative diverse. La modularità della soluzione aiuta, perché consente implementazioni graduali e su misura: si può partire dal pianificatore di rete o da quello di carico, si possono integrare pezzi via via, si può imparare strada facendo senza pretendere la sostituzione in blocco dei sistemi esistenti.

Accanto al nucleo “duro” dell’ottimizzazione, Kiba apre anche porte laterali verso tecnologie complementari. L’integrazione con l’Internet delle Cose promette un flusso più ricco e puntuale di dati di stato da carri e terminal; i gemelli digitali danno un ambiente in cui simulare scenari e stressare le scelte prima di portarle sul piazzale; blockchain e reti 5G offrono piste per la tracciabilità e per la sincronizzazione a bassa latenza tra attori diversi. È un lessico che, in altri settori, rischia di suonare come moda; qui torna nel suo significato utile: pezzi che, se ben orchestrati, allargano il perimetro di ciò che si può ottimizzare davvero, con benefici tangibili per chi carica e scarica ogni giorno.

Il merito del progetto, in ultima analisi, è quello di spostare il discorso sull’IA dalla superficie degli slogan al piano della pratica quotidiana. Quando le previsioni di volume si incrociano con i vincoli di sicurezza, quando un suggerimento di caricamento si traduce in due manovre in meno e in un convoglio che parte al massimo della capacità, allora l’intelligenza non è più un attributo astratto ma una differenza concreta nella vita operativa. E se quella differenza si registra in modo sistematico, giorno dopo giorno, la somma fa strategia: più affidabilità, più attrattività del combinato, più trazione per il trasferimento modale dalla strada alla ferrovia. È lì che Kiba misura il suo successo e prepara il terreno a ciò che verrà, con test sul campo, affinamenti di dati, normalizzazione dei flussi informativi. La destinazione finale non è un traguardo unico, ma una linea che si sposta in avanti a ogni iterazione: una logistica ferroviaria più intelligente perché più capace di prendere decisioni buone, in fretta, sotto vincoli reali.

Se il prototipo manterrà le sue promesse, ce ne accorgeremo senza quasi accorgercene: in un terminal che scorre più fluido, in un treno che parte pieno anziché a metà, in una gestione che regge meglio l’imprevisto. È la misura più onesta dell’innovazione: non la spettacolarità, ma la disciplina silenziosa di un sistema che funziona meglio. E, nel caso della ferrovia europea, è anche un tassello della strategia climatica: ogni unità di carico ben allocata e ogni convoglio ben composto sono chilometri sottratti alla strada, emissioni evitate, competitività guadagnata.

Di Fantasy