Immagine AI

Dietro ogni opera d’arte si nascondono tracce, stratificazioni, influssi che il tempo ha in parte cancellato o modificato. Ma oggi, grazie a un’alleanza inattesa tra arte e tecnologia, un dettaglio rimasto silente per secoli è emerso con chiarezza. È stato un algoritmo a rivelare che il volto di San Giuseppe, nella celebre “Madonna della Rosa” attribuita a Raffaello, potrebbe in realtà non appartenere al pennello del maestro.

La tela è custodita al Museo del Prado di Madrid. Decenni di studi e riflessioni avevano già indagato la coerenza dello stile, la qualità dei volti e la composizione complessiva. Alcuni critici avevano addirittura osservato che il volto di San Giuseppe appariva meno definito, meno coerente rispetto alle figure della Vergine, del Bambino e di san Giovanni Battista. Ma finora queste osservazioni erano rimaste nel regno dell’ipotesi critica. Ora, con l’intervento dell’intelligenza artificiale, emerge una nuova lettura: l’algoritmo — addestrato su una raccolta di opere indiscutibilmente attribuite a Raffaello — analizza pennellate, palette cromatiche, sfumature, proporzioni e strutture compositive e distingue che il volto in questione non rispecchia il “codice stilistico” del maestro.

Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori del Regno Unito e degli Stati Uniti, coordinati dal matematico Hassan Ugail dell’Università di Bradford. Hanno utilizzato il modello ResNet50, una rete neurale profonda, migliorata con un approccio di machine learning chiamato Support Vector Machine. L’algoritmo è stato “educato” su un set di immagini raffaellesche autentiche, così da imparare i segni distintivi del pittore, e poi applicato alla “Madonna della Rosa”. I risultati mostrano che la Vergine, il Bambino e san Giovanni corrispondono al linguaggio stilistico di Raffaello, ma il volto di San Giuseppe no: la sua geometria, la densità cromatica, le curve del volto suggerirebbero una mano diversa.

Questo non significa che Raffaello non abbia contribuito all’opera, ma che in una fase del progetto o della conservazione un altro pittore — forse un allievo, forse un collaboratore — potrebbe essere intervenuto per completare quel volto. Qualcosa di simile era già stato ipotizzato nel corso dell’Ottocento, quando alcuni critici notarono nel volto di San Giuseppe un “difetto” qualitativo rispetto al resto del dipinto. Ora, l’IA restituisce all’ipotesi un supporto quantitativo: non è più solo una sensazione critica, ma una suggestione sostenuta da un confronto statistico fra stili.

È importante sottolineare come gli stessi autori dello studio insistano sulla funzione complementare dell’intelligenza artificiale: l’algoritmo non sostituisce il giudizio dell’esperto d’arte, ma serve ad affiancarlo. L’autenticazione o l’attribuzione di un’opera non possono basarsi da sole su analisi digitali: servono pigmenti, provenienza, documentazione storica e competenza umana. Ma l’IA diventa uno strumento prezioso, capace di evidenziare anomalie o tracce che potrebbero sfuggire all’occhio umano. Così, un software non reclama il ruolo del critico, ma ne espande la sensibilità con una lente statistica.

Di Fantasy