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In un’epoca in cui l’intelligenza artificiale (IA) sta ridefinendo ogni aspetto della vita professionale, la comprensione del suo impatto non può più limitarsi all’analisi dei dati di utilizzo. Per andare oltre i semplici log o i sondaggi quantitativi, Anthropic ha compiuto un passo significativo presentando “Anthropic Interviewer”, un innovativo strumento basato sul suo modello Claude. Questo agente di IA è stato impiegato per condurre migliaia di interviste approfondite con professionisti di vari settori, un’impresa di ricerca su larga scala che prima era considerata quasi impossibile, con l’obiettivo di “riflettere le esperienze e le esigenze reali delle persone nel processo di sviluppo dei sistemi di intelligenza artificiale”. L’azienda ha recentemente pubblicato i risultati di questo sondaggio, fornendo un quadro complesso delle percezioni e delle ansie che accompagnano l’adozione dell’IA.

Lo studio ha coinvolto un campione diversificato di 1.250 esperti, suddivisi tra occupazioni generiche, ruoli creativi e professioni scientifiche, analizzando lo stato attuale dell’uso dell’IA e i cambiamenti nella percezione per categoria professionale. I risultati rivelano un notevole paradosso tra l’efficienza oggettiva percepita e lo stigma sociale persistente.

Tra i lavoratori generici, l’accoglienza è stata prevalentemente positiva: l’86% degli intervistati ha affermato che l’IA fa risparmiare tempo e il 65% ha espresso soddisfazione per il ruolo che l’IA svolge nel loro lavoro. L’automazione delle attività ripetitive è stata vista con favore. Tuttavia, emerge una chiara tensione tra utilità e identità: questi lavoratori, pur accettando l’automazione delle mansioni basilari, tendono a preferire l’esecuzione di compiti essenziali che incarnano la loro competenza e la loro identità professionale. Significativamente, il 69% ha riferito di subire uno stigma sociale legato all’uso dell’IA sul posto di lavoro, un dato che rivela come la percezione esterna rappresenti ancora un ostacolo importante all’adozione diffusa. Inoltre, oltre la metà degli intervistati (55%) ha espresso preoccupazione per l’impatto a lungo termine dell’IA sul proprio lavoro, sebbene solo l’8% di questi non abbia adottato alcuna contromisura. Molti prevedono una ristrutturazione futura del proprio ruolo, che includerà la gestione e la supervisione diretta dell’IA.

Le professioni creative (scrittori, designer, fotografi) hanno registrato i livelli più alti di utilizzo e soddisfazione, con il 97% che ha attestato un risparmio di tempo e il 68% che ha riscontrato un miglioramento nella qualità del lavoro. Nonostante questo entusiasmo per gli strumenti di IA generativa, i creativi sono emersi come il gruppo più vulnerabile all’insicurezza economica. Alcuni hanno già lamentato il crollo del mercato del doppiaggio in certi settori, e si è diffusa la preoccupazione che il flusso infinito di musica e immagini generate dall’IA possa invadere in modo insostenibile i mercati creativi esistenti. Vi è persino una prospettiva pessimistica, espressa da alcuni, di doversi “alla fine vendere prodotti generati dall’intelligenza artificiale per guadagnarsi da vivere”. Anche in questo settore, il 70% dei professionisti ha citato lo stigma sociale, rendendo difficile rivelare l’utilizzo dell’IA. Non solo, ma è stata sollevata una profonda preoccupazione filosofica riguardo al controllo creativo, con alcuni che lamentano come “l’intelligenza artificiale stia guidando la direzione della creazione”.

Tra gli scienziati (chimica, fisica, biologia), l’utilizzo dell’IA è attivo, ma con cautela. Sebbene il 91% esprima il bisogno di “un’intelligenza artificiale più potente per la ricerca”, un massiccio 79% ha identificato l’affidabilità dell’IA come il più grande ostacolo. Gli scienziati hanno concordato sul fatto che è difficile affidarsi all’IA per la ricerca fondamentale, come la generazione di ipotesi e la progettazione sperimentale. Di conseguenza, l’IA è relegata principalmente ad attività periferiche e di supporto (ricerca bibliografica, debugging del codice e assistenza nella stesura di articoli). Molti partecipanti hanno espresso la frustrazione che l’IA sia “incoerente” e che i risultati debbano essere verificati ogni volta, annullando di fatto il previsto risparmio di tempo. Tuttavia, mostrano poca preoccupazione per la perdita di posti di lavoro, sottolineando la difficoltà per l’IA di sostituire i giudizi empirici e le conoscenze tacite (come la valutazione del colore o della consistenza) espresse durante gli esperimenti.

L’intervistatore AI di Anthropic rappresenta un nuovo paradigma nella ricerca sull’IA. Precedentemente, le aziende potevano comprendere l’utilizzo solo attraverso le conversazioni scambiate nelle finestre di chat. I nuovi strumenti consentono invece di analizzare in modo più approfondito e narrativo come i risultati dell’IA vengono effettivamente utilizzati nel lavoro e nella vita quotidiana, come l’IA influisce sull’identità e sul valore percepito degli utenti e quali ansie può causare a lungo termine. Il progetto, mirato a riflettere l’esperienza umana nello sviluppo di sistemi AI, evidenzia che il successo dell’adozione tecnologica non è solo una questione di prestazioni, ma anche di navigazione complessa tra l’efficienza, l’identità professionale e le norme sociali.

Di Fantasy