L’industria della creazione di contenuti e quella dell’intelligenza artificiale generativa si trovano in un punto di svolta critico, una tensione che è stata recentemente cristallizzata da una mossa strategica e clamorosa del colosso dell’intrattenimento, The Walt Disney Company. Pochi istanti dopo aver siglato un accordo di partnership del valore di circa un miliardo di dollari con OpenAI, che di fatto apre le porte del suo immenso catalogo di proprietà intellettuale a modelli avanzati come Sora, Disney ha simultaneamente recapitato una formale lettera di diffida a Google, accusando i suoi servizi di intelligenza artificiale di violazione di copyright su “larga scala”. Questa “strategia duale” non è solo una disputa legale; è una dichiarazione industriale che ridefinisce il confine tra collaborazione e sfruttamento non autorizzato nell’era dell’AI.
Il CEO di Disney, Bob Iger, sta chiaramente delineando una nuova filosofia aziendale: l’intelligenza artificiale non è un nemico, ma un partner potenziale, purché si attenga a regole rigorose sul rispetto e sulla remunerazione della proprietà intellettuale. Da un lato, l’intesa con OpenAI rappresenta l’esperimento più ambizioso di convergenza tra la GenAI e contenuti di altissimo profilo. L’accordo, infatti, consente a un modello di generazione video di utilizzare legalmente personaggi iconici come Topolino, gli eroi Marvel e gli elementi di Star Wars per creare nuovi contenuti in modo controllato e concordato. Questo sposta l’IA da un mero strumento “consumer” a una vera e propria infrastruttura interna per la creatività, stabilendo un precedente storico nel modo in cui Hollywood intende sfruttare le nuove tecnologie.
Dall’altro lato, la diffida a Google, giunta in un tempismo tutt’altro che casuale, colpisce al cuore i sistemi di intelligenza artificiale del gigante di Mountain View. Nello specifico, la missiva dei legali Disney punta il dito contro prodotti di punta come i modelli linguistici Gemini, i generatori video come Veo e Imagen, e il modello di ricerca Nano Banana. L’accusa non riguarda una singola infrazione, ma una presunta violazione sistematica e massiccia, in cui i modelli di Google avrebbero attinto senza autorizzazione a opere protette per il loro addestramento, producendo in output contenuti che rievocano in modo inconfondibile le opere di Disney, inclusi i dettagli stilistici e visivi di personaggi complessi, per esempio, provenienti dall’universo Guardiani della Galassia o dalla saga di fantascienza.
Questa azione legale rafforza una linea sempre più rigida e intransigente intrapresa da Disney, che in precedenza aveva già intentato cause legali contro altre piattaforme di generazione di contenuti, come Character.AI e, in particolare, contro Midjourney. Per il colosso dell’intrattenimento, non si discute l’esistenza dell’IA in sé, ma la modalità con cui queste aziende hanno costruito e addestrato i loro modelli, sfruttando il lavoro creativo protetto da copyright come una risorsa illimitata e gratuita. La battaglia si concentra sul principio del “fair use”, contestato da Disney proprio per la natura commerciale e la “scala massiva” della violazione.
Google, dal canto suo, avrebbe respinto prontamente le accuse. Un portavoce ha riaffermato la lunga e storica collaborazione con Disney, sottolineando che i suoi sistemi si basano su dati pubblicamente disponibili e che l’azienda offre già strumenti sofisticati di gestione del copyright, come Content ID, oltre a varie opzioni di controllo per gli editori. Tuttavia, la mossa di Disney evidenzia come, per i maggiori detentori di proprietà intellettuale, tali misure non siano più sufficienti a garantire la tutela del proprio patrimonio in un contesto dove l’IA generativa è capace di replicare stili e personaggi con fedeltà impressionante.
La dualità della strategia di Disney — il pugno di ferro con chi è percepito come uno “scroccone del copyright” e la mano tesa verso partner regolamentati — è destinata a ridisegnare i rapporti di potere tra Hollywood e la Silicon Valley. La posta in gioco è alta: si tratta di stabilire chi controlla e, soprattutto, chi viene remunerato per l’utilizzo dell’enorme quantità di dati creativi che alimenta la rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Questa controversia non è un incidente isolato, ma un elemento chiave nella complessa evoluzione del diritto d’autore nell’era digitale.
