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C’è qualcosa di quasi cinematografico nell’idea che un ragazzo di 19 o 20 anni possa guardare in faccia una delle sfide più ostiche dell’intelligenza artificiale — la memoria a lungo termine — e decidere di costruire una startup che la risolva. È proprio questa la storia che si sta delineando con Dhravya Shah e il suo progetto Supermemory. In un mondo in cui i modelli di linguaggio sono sempre più sofisticati, la difficoltà non è più “parlare bene”, ma ricordare ciò che è stato detto prima: Shah ha puntato su questo vuoto.

Supermemory si propone come una “API di memoria universale” per le applicazioni AI: non solo un archivio dati, ma un motore che trasforma documenti, chat, email, file e informazioni non strutturate in “ricordi” contestuali che i modelli possono richiamare nel tempo. La promessa è grande: offrire continuità, coerenza, personalizzazione nel dialogo con l’AI, al di là dei limiti attuali dei modelli che tendono a dimenticare una conversazione appena uscita dal “contesto”.

Ma se l’idea è potente, il percorso che l’ha condotto nasce in modo sorprendentemente concreto. Shah è cresciuto a Mumbai, con un background da studente serio e una passione per lo sviluppo di tool. Uno dei suoi primi progetti era un convertitore di tweet in screenshot, un piccolo esperimento che sembrava insignificante, ma che gli diede il primo assaggio di quello che significava costruire qualcosa che gli altri potessero usare. Quel pezzo di “codice utile” lo portò a vendere il tool a Hypefury, evento che cambiò il corso dei suoi sogni e la percezione della sua vocazione.

Dopo quell’esperienza iniziale, Shah si trasferì negli Stati Uniti, iscrivendosi all’Arizona State University, e decise di stabilire una regola: per 40 settimane avrebbe creato un progetto nuovo a settimana. Fu così che nacque la prima versione — chiamata Any Context — che permetteva alle persone di “dialogare” con i propri segnalibri Twitter. Col tempo, quel prototipo evolse fino a diventare Supermemory. Durante il percorso, Shah fece stage e lavorò come ingegnere e figura di relazioni con sviluppatori in Cloudflare, dove incontrò mentori chiave, come Dane Knecht, che lo spinsero a trasformare il progetto in startup vera e propria.

Arriva così il momento di dimostrare che le idee possono avere mercato. Supermemory ha raccolto un seed round da circa 2,6 milioni di dollari, con il sostegno di investitori come Susa Ventures, Browder Capital e SF1.vc, e la partecipazione di nomi di rilievo come Jeff Dean (Google AI), Dane Knecht (CTO Cloudflare) e Logan Kilpatrick (DeepMind). Questi non sono solo “angeli”: sono figure che conoscono l’AI in profondità, e la loro fiducia rappresenta un riconoscimento del potenziale del progetto.

Nel dettaglio del prodotto, Supermemory vuole diventare più di un “database intelligente”: la sfida è riuscire a estrarre insight da dati non strutturati, collegare fra loro informazioni sparse e dare agli agenti AI la capacità di richiamare contesti passati come farebbe un essere umano. Un’email scritta un mese fa, una conversazione con un assistente digitale in un’altra sessione, un documento caricato tempo addietro: tutto ciò dovrebbe entrare in una memoria che “fa senso” per l’intelligenza artificiale. I casi d’uso sono molteplici. Un editor di testo potrebbe recuperare citazioni o note scritte in un altro momento, una piattaforma AI conversazionale potrebbe “ricordare” preferenze personali, un sistema di supporto clienti potrebbe mantenere continuità anche attraverso interazioni distanti nel tempo.

Certo, le sfide sono enormi. Aumentare la capacità di memoria senza esplodere i costi computazionali, garantire coerenza, evitare errori di recall, proteggere la privacy, integrare il tutto con modelli diversi e infrastrutture esistenti: sono problemi complessi che richiedono ingegneria raffinata, scelte architetturali attente e iterazioni continue. Anche se Supermemory ottiene risultati promettenti nei test, resta da vedere come si comporterà in scenari reali ad alto carico e con dati eterogenei.

Ma la storia di Shah non è solo tecnica: è anche una testimonianza del cambiamento culturale che l’AI porta con sé. Un giovane indiano che rinuncia al percorso tradizionale — prepararsi agli esami d’entrata negli istituti più prestigiosi — e sceglie di seguire la passione per il codice, l’innovazione, l’impatto. Una persona che, nonostante la giovinezza, mette in gioco idee ambiziose e cerca di conquistare spazio in un panorama globale. È il tipo di percorso che ci ricorda che le barriere stanno cadendo: non servono decenni di esperienza per avere una visione che “funzioni”.

Oggi, Supermemory è già usata da altre startup AI, che la integrano per offrire esperienze più coerenti ai loro utenti. Dalla generazione di contenuti alla robotica, da sistemi conversazionali avanzati a strumenti di produttività, il valore della memoria persistente può amplificare le capacità dei modelli. E Shah non nasconde che questo è solo l’inizio: lui e il suo team guardano già avanti, verso versioni più robuste, integrazioni con modelli emergenti, estensioni verso nuovi ambiti e sfide sempre più grandi.

La vicenda di Dhravya Shah e Supermemory ci ricorda che l’AI non è solo una corsa verso modelli sempre più grandi, ma anche una rincorsa verso ciò che li rende veramente utili: la capacità di ricordare, di dare contesto, di costruire continuità. Se un ragazzo di 19 anni può puntare su questo ideale, siamo forse davvero davanti a una nuova generazione che non vuole solo “parlare” con le macchine, ma fare in modo che loro “ricordino”.

Di Fantasy