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Lo spazio intorno alla Terra non è più un deserto silenzioso: è diventato un dedalo sovrappopolato, una pista a rischio collisioni, un campo minato volante dove ogni frammento — grande o piccolo — può scatenare problemi irreversibili. Nel 2025 l’orbita terrestre bassa ospita oltre 14.000 satelliti attivi e almeno 27.000 oggetti tracciati, tra satelliti dismessi, stadi di razzi e detriti vari.

Frammenti che, non solo aumentano il rischio fisico, ma inquinano l’ambiente spaziale e complicano l’operatività futura. In risposta a questa emergenza, si sviluppa in Europa un progetto audace: ASIMOV, un “autopilota spaziale” intelligente, che dovrebbe aiutare a riconoscere, monitorare e gestire oggetti non cooperativi in orbita, autonomamente.

Quello che rende ASIMOV particolarmente interessante — e provocatorio — è che non è pensato come un semplice sistema di supporto: è progettato per essere autonomo, in grado di mappare e ispezionare oggetti “non cooperativi” (ossia che non trasmettono dati, non rispondono a comandi) e di pianificare manovre sicure per avvicinarsi, osservare, stimare forma e posizione. Il cuore della sfida è rendere satelliti già operativi o futuri capaci di “vedere” non solo lo spazio vuoto, ma altri oggetti, reagire, prendere decisioni di navigazione, senza dover continuamente essere guidati da Terra.

Il progetto è coordinato dall’azienda italiana AIKO, con il contributo di istituzioni come il Politecnico di Milano, la Technical University of Munich, T4i e il Tiny Bull Studio e finanziato dall’Agenzia Spaziale Italiana.

Uno degli ambienti chiave per lo sviluppo è il laboratorio ARGOS del Politecnico di Milano, dove si simulano condizioni orbitali tramite bracci robotici, sensori ottici, dinamiche di movimento e interazioni spaziali in spazi ridotti. In queste “prove da laboratorio”, si cerca di riprodurre il comportamento dei satelliti, testare algoritmi, validare sensori e mettere alla prova le decisioni autonome prima di andare in orbita.

Ma perché serve un progetto come ASIMOV? Per molte ragioni. In primo luogo, il rischio di collisione orbitali non è teorico: quando due oggetti si scontrano, possono nascere migliaia di nuovi detriti che a loro volta diventano pericoli per altri oggetti, innescando un “effetto cascata”. In secondo luogo, molti satelliti vecchi o guasti sono “non cooperativi”: non rispondono più, o non hanno sistemi attivi per comunicare la propria posizione. Senza un modo per ispezionarli autonomamente, sono semplicemente “indesiderati” nell’orbita. Terzo, monitorare, intervenire, gestire le posizioni e le traiettorie in tempo reale richiede una scala operativa che nessuna base terrestre può mantenere da sola: serve intelligenza spaziale distribuita. Infine, c’è la questione di sostenibilità spaziale: mantenere le orbite “pulite” è un bene collettivo, un dovere verso le generazioni future che vogliano ancora usare lo spazio. Il progetto ASIMOV si inserisce in questa “etica orbitale”, in linea con iniziative come la Zero Debris Charter dell’ESA.

Di Fantasy