La notizia che l’azienda americana iRobot, celebre in tutto il mondo per aver portato nelle nostre case il robot aspirapolvere Roomba, ha dichiarato bancarotta e avviato una complessa procedura di ristrutturazione finanziaria è uno spartiacque nella storia recente della tecnologia consumer. Fondata nel 1990 da alcuni ingegneri del Massachusetts Institute of Technology (MIT), iRobot è stata per decenni una delle voci più visibili e innovative nel settore della robotica domestica. Il Roomba non era soltanto un prodotto, ma un simbolo della promessa che la tecnologia avrebbe potuto alleggerire, in modo elegante e quasi futuristico, i piccoli compiti quotidiani.
Nelle ultime ore l’azienda ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti, scegliendo la procedura prevista dal Chapter 11 della legge fallimentare americana, che permette di riorganizzare il proprio debito sotto la vigilanza di un tribunale pur continuando ad operare. In base al piano concordato, il controllo dell’azienda passerà al suo principale fornitore e finanziatore, la cinese Shenzhen Picea Robotics Co., insieme alla controllata Santrum Hong Kong Co.. Questa transizione segna la fine di un’epoca: iRobot cesserà di essere quotata in Borsa e diventerà una società privata interamente controllata da realtà cinesi già coinvolte nella produzione dei suoi prodotti.
La parabola di iRobot è stata negli anni un misto di genio tecnologico e, negli ultimi tempi, di difficoltà economiche crescenti. Per molti il nome Roomba è sinonimo di aspirapolvere robotico: quando fu presentato per la prima volta nei primi anni Duemila, il piccolo dispositivo capace di muoversi da solo per pulire i pavimenti catturò l’immaginazione dei consumatori e trasformò un gadget tecnologico in un fenomeno di mercato. Per anni iRobot ha dominato un segmento di mercato che sembrava fatto su misura per la sua visione: robot intelligenti, con sensori e software sempre più sofisticati, capaci di ridurre il peso delle faccende domestiche.
Eppure, nonostante l’impatto culturale e commerciale di Roomba, l’azienda ha iniziato a incontrare crescenti difficoltà. La concorrenza di produttori cinesi di robot aspirapolvere, che hanno saputo proporre prodotti simili a costi inferiori e con margini di innovazione altrettanto apprezzabili, ha eroso progressivamente la quota di mercato e i margini di profitto di iRobot. A questi fattori si sono aggiunti elementi macroeconomici più ampi, come l’aumento dei dazi sugli importati e i costi di produzione, che hanno appesantito i bilanci dell’azienda e reso più difficile competere in un mercato globale sempre più affollato.
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Il passaggio sotto il controllo di Picea e Santrum rappresenta dunque una soluzione alla crisi finanziaria che ha colpito iRobot, ma è anche il simbolo di un cambiamento più profondo del contesto tecnologico globale. Le aziende cinesi, che per anni hanno lavorato come partner produttivi o come concorrenti nell’ombra, hanno in molti settori raggiunto livelli di capacità tecnica e di penetrazione dei mercati internazionali tali da poter assumere il controllo di marchi storici occidentali. Per i consumatori, almeno a breve termine, non dovrebbe cambiare molto: Roomba continuerà a funzionare, il supporto clienti e i servizi legati ai prodotti in uso verranno mantenuti e l’azienda continuerà a produrre dispositivi. Tuttavia, il ribaltamento di controllo solleva inevitabilmente interrogativi sul futuro del marchio e sulla direzione delle innovazioni successive.
Per chi ha seguito la storia di iRobot, il fallimento e la successiva acquisizione da parte di realtà cinesi è tanto un punto di arrivo quanto un momento di riflessione: non solo sulla fine di un’epoca tecnologica, ma anche sulle dinamiche globali che plasmano oggi il mercato dei prodotti high-tech. La storia di Roomba, dalle sue origini mitiche nei laboratori del MIT alla sua acquisizione sotto il controllo cinese, racconta di come le grandi idee possano essere trasformate, riorganizzate e, alla fine, reinventate in un mondo in rapido cambiamento.
